* Inseriamo il racconto di Gabriele Boccalatte tratto dal suo libro “Piccole e Grandi ore Alpine”.

 

1934 - 12 luglio. - Sveglia alle 3,45, partenza alle 4,30. Alle 6,30, siamo al colletto di fronte alla parete; alle 7 attacchiamo le rocce e ci fermiamo per metterci in pedule. Alle 7,30, lasciate le scarpe e varie altre cose, iniziamo la scalata. Salito in breve tempo il tratto inferiore (scarto la placca liscia e difficile, salendo per la fessura di sinistra), ci portiamo sulla cengia più alta, per osservare l'attacco della lunga fessura, che solca fino in vetta l'arditissima muraglia verticale, alta più di 250 m. Arrivo ore 9,15; ci fermiamo parecchio tempo. Alle 10,30, iniziamo la salita della fessura. Per attaccarla, bisogna traversare una placca molto liscia, assicurandosi dall’alto con la corda passata in un chiodo. Per 20 m la fessura non è molto difficile, fino a un minuscolo terrazzino, dove si può sostare più o meno comodamente. Di qui in, su la faccenda comincia a farsi allegra; le difficoltà aumentano subito e diventano ben presto estreme. Si segue sempre la fessura. Molto perditempo e molta fatica, per trovare da piantare i chiodi: poche fessurine e quasi tutte ripiene di terra; alcune volte bisogna mettere due chiodi insieme, per poter avere un’assicurazione un pò franca, essendovi il terriccio che nasconde la conformazione interna delle fessurine. In alto, passaggio obliquo, dove Ninì, non avendo l'assicurazione del chiodo di fianco, fa due pendola te (mi tocca ridiscendere un pezzo per farle almeno un’assicurazione diretta); perdiamo qui più di un’ora: poi saliamo ancora diritti e quindi, obliquando a sinistra, fino a una caverna dove scorre dell’acqua. Dalla caverna si esce in alto e, superate varie placche lisce, percorriamo un camino che ci porta sotto uno strapiombo. Si esce per la parete di sinistra. Poi, per roccia cattiva ma non difficile, ci si porta, con qualche lunghezza di corda, sulla cresta terminale a poca distanza dalla vetta. Sono le 19,45 e possiamo ancora scendere un tratto di cresta fin sotto al gendarme, dove troviamo una bella terrazza per bivaccare. Siamo quasi senza viveri e senza sacco da bivacco, perché speravamo di compiere la gita in giornata. Ma la temperatura non è eccessivamente fredda e, a parte qualche momento in cui soffia il vento, possiamo stare discretamente. Ci manca solo da bere.

13 luglio - Verso le 6,30, ci muoviamo e cominciamo a discendere, prendendo la via aperta da noi l'anno scorso sulla parete Est. Scendiamo con calma. Nel canale centrale della parete, troviamo acqua abbondante e fresca; beviamo e riempiamo la borraccia con l'ingegnosa trovata della cannuccia di gomma. Verso le 11, siamo alle scarpe. Fa molto caldo il sole brucia.

Verso l'una, siamo al Pavillon du Mont Frety. Nel pomeriggio, i nostri bagni di sole vengono interrotti da un violento acquazzone che dura per il resto della giornata.