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Fausto De Stefani – CAAI – (1952-

 

 

Fausto De StefaniFausto De Stefani esprime così il suo concetto di alpinista:

«Vado alla ricerca di oasi dove il pensiero e i sogni camminano parallelamente».

«Mi capita spesso di voler bloccare un sogno, di fermare il tempo».

«La corda di canapa sale lentamente, alla sua estremità è legato un vecchio montanaro.».

Nato in Italia nel 1952, in provincia di Mantova. Inizia giovanissimo l’attività alpinistica. A vent’anni è istruttore provinciale di addestramento di salita su roccia e ghiaccio.

Dal ’72 si dedica con successo a scalate su pareti di roccia e ghiaccio, aprendo nuove vie su tutto l’arco alpino. Diviene Istruttore nazionale di alpinismo del CAI.

Inizia la sua attività alpinistica extraeuropea nel 1979 con salite in Africa, nelle Americhe, in Asia caratterizzando le sue spedizioni con la particolare attenzione ai temi naturalistici e ambientali e la riduzione all’essenziale dell’attrezzatura.

Nel 1983 sale il K2, la sua prima vetta sopra gli 8000 metri.

In seguito, oltre ad ulteriori esperienze in America Latina, rende assidua la sua frequentazione in Asia, in Himalaya e Karakorum, dove, tra i pochi al mondo, sale tutte le 14 montagne oltre gli 8000.

Nel frattempo, nell’84 è nominato Accademico del CAI e qualche anno dopo è nominato anche Accademico del Groupe Haute Montagne francese.

Intensifica il suo impegno di sensibilizzazione per i temi ambientali e nel 1988 è tra i fondatori e membro della Giunta Esecutiva dell’associazione internazionale “Mountain Wildnerss”, di cui dal 1993 è garante internazionale. È in prima linea nelle manifestazioni ambientalistiche dimostrative a favore di un maggior rispetto dell’ambiente. Tra le più significative di queste, si ricorda “Free K2”, l’intervento internazionale in alta quota in Karakorum.

Affina la sua attività di fotografo naturalista ed espone le sue immagini in molte città europee. Da quindici anni svolge attività di educazione ambientale con conferenze e mostre didattiche in scuole ed università.

Attualmente è impegnato nella realizzazione del progetto “Una scuola in Nepal”, di cui è promotore.

 

Età: 50

Anni in parete: 32

Origine: Asola (Mn)

Professione: educatore ambientale, alpinista (accademico)

Curriculum: numerose aperture e ripetizioni sulle Alpi Centrali e Occidentali, soprattutto su ghiaccio.

Ha partecipato a 28 spedizioni extraeuropee: il suo primo 8000 è stato il K2 nell’83 (prima ripetizione dello Spigolo Nord); con il Kangchenjunga, nel 1998, ha ultimato la collezione delle 14 vette più alte della terra.

 

Fausto de Stefani è tra i primi ad aver salito tutti gli Ottomila.

Da anni è impegnato in difesa dell’ambiente (è uno dei più attivi fra i garanti di Mountain Wilderness) e oggi, seguendo una prassi inaugurata da Sir Edmund Hillary nel secolo scorso, è impegnato a costruire una scuola in Nepal. Nelle favelas di Kathmandu.

 

1983 - La spedizione italiana di Francesco Santon affronta l’elegante spigolo Nord del K2 già superato dai giapponesi di Isao Shinkai nel 1982 (in vetta Agostino Da Polenza con il cecoslovacco J. Rakoncaj, poi Sergio Martini e Fausto De Stefani).

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MANTOVA -- E’ apparso su tutti i giornali con critiche e condanne alle spedizioni improvvisate, alla spettacolarizzazione della montagna e ai soccorsi “non richiesti”, almeno a suo parere. Ma come la pensa davvero Fausto De Stefani? Montagna Tv ha voluto incontrarlo per capire meglio la posizione dell’alpinista mantovano, che ha ufficialmente 13 ottomila nel cassetto e qualche sassolino nelle scarpe che non vedeva l’ora di togliere.

 

De Stefani, un commento sulle recenti vicende accadute in Karakorum…

Sinceramente non ho più voglia di commentarle. Si è parlato fin troppo di questa storia. Ho dato molte interviste e spesso sono stato frainteso e parafrasato. E’ ora che si faccia un’informazione seria sulla montagna.

 

Potrebbe chiarire la sua posizione. Cosa pensa della tragedia sul K2?

Che l’alpinismo sta un po’ degenerando. Si è persa la voglia di fare apprendistato, di farsi esperienza anche sulle nostre montagne. Ovviamente non si può generalizzare, ma capita sempre più spesso e molte di queste persone te le trovi in Himalaya, attaccate a delle corde fisse che diventano trappole mortali. E non è una novità di quest’anno.

 

Lei ha criticato i soccorsi sul Nanga Parbat. Come mai?

Prima di tutto perché non li hanno chiesti.

 

Ma non avevano il telefono, anche se avessero voluto farlo non avrebbero potuto.

Questo si mette in conto, nelle spedizioni. Quando si va, si sa che questi sono i rischi dell’andare montagna.

 

A lei, però, è capitato più di una volta di essere soccorso in Himalaya…

Sì, ma non c’entra… ci soccorriamo fra di noi… e alcuni son rimasti là. L’unica che ha fatto un intervento di una dignità straordinaria è la moglie di Karl. Invece ci sono delle persone che vogliono vivere le montagne attraverso chi va in montagna e questo è scorretto.

 

A chi si riferisce? Alla stampa o a qualcun altro?

Alle persone che vogliono vivere le montagne attraverso chi va in montagna. Sicuramente se scrive questo qualcuno capisce.

 

Ha criticato anche le corde fisse sul K2. Perché?

Insomma, accidenti, nel 1990 abbiamo portato giù 15mila metri di corde, e cosa è cambiato? Quante migliaia di corde ci sono ancora fisse?

 

Secondo lei non dovrebbero essere messe?

Le corde fisse vanno messe e vanno tolte, altrimenti poi qualcuno si attacca alle corde usurate e succedono altri incidenti. Forse non è il caso di quest’anno sul K2. E l’Italia non è stata migliore di altre nazioni. Per esempio, nella spedizione dell’anniversario del K2 hanno messo corde fisse a più non posso, sono state portate giù? Magari sì. Bisogna però che i giornalisti inizino a chiedere queste cose, a fare un’informazione seria.

 

Qual è la sua aspirazione per l’alpinismo? Qual era il suo stile di scalata?

Uno sceglie un compagno con cui decide di partire, un compagno di cui si fida ciecamente. Poi è ovvio che i rischi ci sono.

 

Lei ha scalato i suoi ottomila in stile alpino o almeno in stile leggero?

Abbiamo scalato anche in stile leggero, più volte. Ma il problema è spesso e volentieri quello degli sherpa, degli hunza e dei baltì. Hanno nome e cognome, ma non vengono mai citati, perché? Non hanno la stessa dignità degli altri alpinisti? Non sono cittadini di serie B, o animali da soma. Questo si deve sapere.

 

Lei è stato citato sui giornali come alpinista che ha scalato tutti i 14 ottomila, ma dalle statistiche ufficiali risulta che ne abbia 13. Quanti ne ha scalati effettivamente?

Miss Hawley ha messo in discussione la mia salita al Lhotse, è una questione che si protrae da anni e anni. Ma io non ho bisogno che lei mi dia il nulla osta. Come non mi interessa avere un manager che va continuamente là a fare le solite cose.

 

Lei è più volte tornato al Lhotse, anche di recente, ma senza raggiungere la cima. Ma la prima volta l’ha salito?

Ci mancherebbe altro. Ero con Sergio Martini. Poi lui è ritornato sul Lhotse, e ha detto che quella dov’eravamo era davvero la cima. Ma è ovvio che col maltempo non stai lì su una cresta estremamente sottile come quella del Lhotse a bighellonare. Comunque queste sono cose mie private. L’alpinismo è anche una cosa privata.