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Mario Piacenza - (1884 – 1957) - CAAI

 

 

Mario Piacenza naque a Pollone il 21 aprile 1884, studiò dai padri Rosminiani a Domodossola e si laureò in legge a Torino.

Seguirono anni di perfezionamento nelle tecniche laniere in Belgio ed in Germania.

Completati gli studi, secondo consuetudine famigliare prese ad occuparsi della fabbrica paterna assieme al fratello Guido cui lo univano forti comunanze di interessi e di ideali.

Mentre Guido indirizzava la sua attenzione verso le novità tecniche del nascente XX secolo come l’aerostatica e la trasmissione dei segnali via radio, senza trascurare esotiche spedizioni nel continente nero, Mario imboccava con decisione la via dei monti.

Imparentato per parte di madre colla famiglio dei Sella, appare verosimile che l’atmosfera di casa Sella e l’esempio dei cugini tutti fervidi alpinisti e uomini di punta dell’alpinismo italiano di slitte abbia indotto nel giovane Mario un vivo desiderio di emulazione.

L’alpinismo fu, con il lavoro, l’attività che in massimo grado assorbì le sue energie: un alpinismo di grande respiro sempre teso ai massimi problemi del momento e talvolta in anticipo sui tempi: da ricordare innanzi tutto la prima salita della cresta di Furgger al Cervino e le ascensioni invernali, tutte di prestigio.

Un alpinismo che nello stesso tempo risulta impregnato ed arricchito da vari interessi non solo atletici e/o sportivi ma specialmente scientifici e culturali.

La natura lo favorì in questa pratica dotandolo di un fisico eccezionale robusto, basso e tarchiato, tanto che lo stesso Adolfo Rey lo riconosceva come uno dei “cittadini” più resistenti alla fatica ed ai disagi che lui avesse conosciuto.

Svolse una composita attività sempre collegata all’alpinismo e fu anche direttore del Museo Nazionale della Montagna incarico che mantenne fino alla morte nel 1957 all’età di 73 anni.

Alpinisticamente ebbe doti di alpinista completo, fortissimo tanto su roccia che su ghiaccio.

Di conseguenza la sua attività fu eccezionale, naturalmente secondo gli standard dell’epoca (sono gli anni che precedono la prima guerra mondiale).

Converrà citare in proposito: Grepon, Charmoz, Dru, Aiguille Verte per il canalone della Charpoua, una via nuova sulla parete Sud della Punta Dufour e tutte le principali vette del Vallese.

Vantò anche un nutrito corredo di prime invernali, senza sci con racchette e scarponi chiodati: il Mont Blanc du Tacul e il Mont Maudit, il Dente del Gigante nel Gennaio 1908 con Joseph Pellissier e Lorenzo Petigax; risulta anche un Aiguille Noire de Peutérey in inverno.*

* La prima invernale dell’Aiguille Noire de Peutérey spetterebbe dunque a Mario Piacenza e non a Erwin Schneider come riportato in Annuario CAAI 1995.

Non va dimenticato che all’epoca l’uso dei ramponi era ancora quasi sconosciuto.

Il Cervino occupò un capitolo a sparte e fondamentale della sua vicenda alpinistica: ne tocco la vetta 14 volte per itinerari ed in stagioni diverse: una invernale dal 1 al 3 marzo 1907, in compagnia di Joseph Carrel, Jean Baptiste e Joseph Pellissier, realizzando la prima salita e susseguente discesa, invernale, per la cresta italiana.

Ne salì altresì tutte le creste(Leone, Zmutt, Hornli e De Amicis, oltre naturalmente alla sua Furggen, riuscita dopo parecchi anni di studi, esplorazioni e tentativi).

Da ricordare una salita del 1908 con una rudimentale cinepresa dell’epoca, realizzando il primo documentario cinematografico, che illustra le fasi principali della salita per la cresta del Leone.

Compì inoltre peregrinazioni inconsuete sui versanti del Cervino:citeremo una traversata dai denti di Zmutt al Col Felicitè (1906), dall’enjambèe alla spalla di Furggen (in esplorazione alla sua cresta), dalla Cresta De Amicis alla Gran Torre (1927), sempre recando seco l’apparecchio fotografico a grandi lastre per documentare ogni aspetto delle sue esplorazioni.

Proprio sul Cervino colse il successo più conosciuto a distanza di tanti anni e più sofferto.

Mario Piacenza ebbe a scrivere in proposito: “Salire il Cervino per la cresta del Furggen era da parecchi anni il mio incubo”.

 

Mario Piacenza toccò il vertice della sua parabola di alpinista classico ed occidentale con la vittoria del 1911 alla Cresta di Furggen al Cervino, vetta simbolo di tutto l’alpinismo classico del XIX secolo.

La cresta, la più corta e la più ripida, era circondata da un’aureola di gloria e da una fama quasi leggendaria: nel 1880 aveva visto un tentativo di Albert Frederich Mummery che, giunto alla spalla, al cospetto dello strapiombo, ne aveva costatata l’impercorribilità e, senza fare drammi, con il suo famoso fai play anglosassone, era ritornato indietro.

Dopo circa 20 anni è il turno di Guido Rey che vorrebbe legare il suo nome a quello della soluzione dell’ultimo problema ancora insoluto della Gran Becca.

Sappiamo che i suoi tentativi durarono diverse stagioni non mancando di ardimento e di audacia.

Alla fine, per percorrere lo strapiombo almeno in discesa, è noto che Rey decise di calarsi dell’alto, non bastando una semplice corda, con una scala di corda e pioli di legno, per svelare il mistero di quei metri inaccessibili.

Il primo però a non credere di aver risolto il problema con il sotterfugio fu proprio Guido Rey.

In questo clima di accesa passione romantica si innesta la vicenda di Mario Piacenza il quale si mostrò qui vero leader di uomini sapendo far leva sull’animo delle sue guide valdostane, anche sullo spirito di emulazione nei confronti dei colleghi di Zermatt, verso cui nutriva un complesso di inferiorità fin dai tempi delle vicende della conquista del Cervino.

Mario Piacenza, accompagnato dalle sue guide Jean Joseph Carrel e Giuseppe Gaspard (Joseph)

Affrontò il problema di vincer la Furggen da par suo e cioè con vero spirito manageriale, affidandosi ad una metodica e solida preparazione della salita sul terreno.

Innanzi tutto però stabilì, al contrario dei suoi predecessori. Che lo strapiombo andava aggirato dal lato Italiano.

Iniziò le spedizioni nel 1907.

Per esplorare il lato italiano della cresta con le sue guide, partivano in piena notte lungo la via normale raggiungendo il Col Felicitè da cui attraversavano sotto la testa per placche di neve e couloirs in direzione della cresta, lasciando aperta la possibilità del ritorno con corde e scale, e spesso calandosi in couloirs, impercorribili da cui dovevano risalire a prezzo di violenti sforzi.

Tutto questo nel segreto più assoluto e mascherando le esplorazioni come una innocente campagna fotografica: infatti avevano sempre seco la pesante macchina fotografica che, appena fuori dal rifugio, celavano al riparo di una roccia, ed alla sera riprendevano prima di rientrare nel rifugio.

Le esplorazioni della cresta si protraggono così per diversi anni con alterne vicende, tra impeti  di speranze e delusioni amare.

Finché ad Agosto del 1911 può compiere un primo tentativo, con partenza dal rifugio svizzero dell’Hornli, che fallisce alla spalla per il brutto tempo.

Già ai primi di Settembre ritorna sempre dalla capanna svizzera con grande armamentario di corde e pioli.

Per affrettare la marcia procedono slegati fino alla spalla dove giungono assieme al sole che comincia a provocare le prime cadute di pietre.

Sono ora al cospetto della vecchia corda di Guido Rey che penzola imputridì.

Di qui si gettano decisamente a sinistra, sul versante italiano, su terreno vergine, e ben presto devono superare un’altra placca senza appigli con piramide umana di tre persone.

Ora si avvicinano ai punti esplorati e la certezza della vittoria prende consistenza: infatti dopo un nuovo lancio di corda per attraversare una liscia placca si riposano in cresta dove rinvengono i resti della scala di Guido Rey; finalmente giungono a toccare la vetta alle 13,30.

A testimonianza di uno spirito vivace e aperto alle innovazioni occorrerà ancora citare nel 1907 e 1910 due traversate delle Alpi in pallone aerostatico, in quegli anni il top dell’avventura e del rischio.

Pare che assieme al fratello progettasse una traversata in pallone del Karakorum che non poté concretizzarsi per le difficoltà burocratiche e politiche di quegli anni.

Quando le Alpi non gli bastarono più, accettò i suggerimenti del cugino Vittorio Sella* e spostò la sua attenzione ai grandi gruppi extra-europei: a 26 anni, nel 1910, fece la sua prima esperienza anche come organizzatore e leader, dirigendosi verso il Caucaso e la Persia.

* Mario Piacenza (1884-1957 discendente indirettamente dalla famiglia Sella. Quintino Sella ebbe due fratelli (Giuseppe Venanzio e Francesco) ed una sorella: Effisia, la cui figlia (Silvia) andò in sposa a Felice Piacenza, ed essi ebbero un figlio, appunto Mario Piacenza.

 

 

1906 - Mario Piacenza, fu sul Cervino per la prima volta (Cresta di Zmutt).

 

1907 – marzo. Mario Piacenza ritornò sul Cervino con Jean Baptiste Pellissier, Giuseppe Pellissier e Jean Joseph Carrel.

 

1910 - Spedizione in Caucaso.

 

1911 - 4 settembre. A Mario Piacenza si deve la “Via Piacenza”, tracciata sul Monte Cervino con Jean Joseph Carrel e Giuseppe Gaspard.

 

Organizzò, inoltre, una spedizione in Himalaya con salita al Nunkun; della quale scrisse un libro.

Ha scritto, inoltre, Ascensione invernale al Cervino, (Rivista CAI, 1907).

La prima ascensione del Cervino per la Cresta di Furggen, (Rivista CAI, 1911).

Die Erstbesteigung des Matterhorns uber den Furggengrat, (CAI, 45/1923).

 

Salii al Cervino per la prima volta

nel 1906 per la cresta di Zmutt.

Sentii che il gigante valeva un più duro cimento,

un più grande sforzo, una più aspra conquista

per essere meglio amato”.