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Jungfrau – (4158 m.)

(Oberland Bernese)

Alpi Bernesi

(Alpi Svizzere)

Gruppo Jungfrau

 

 

 

La Jungfrau è la più importante ed alta elevazione (la terza delle Alpi Bernesi) della lunga catena che si estende fra l’Eiger e lo Tschingelhorn.

Il nome della montagna (in italiano significa «vergine») deriva dal fatto che i suoi pendii settentrionali evocano l’immagine del velo di una fanciulla.

La multiforme ed articolata struttura della Jungfrau si coglie solo ad una più attenta osservazione dalla Kleine Scheidegg, dal Lauberhorn o dallo Schilthorn.

La parete Nord rappresenta, come accade per molte montagne delle Alpi occidentali, la maggior attrattiva della Jungfrau.

Qui si trovano i bacini che alimentano il Giessegletscher, il Guggigletscher e il Kühlauengletscher, le cui calotte sono inclinate verso la Lauterbrunnental.

Anche il versante Sudovest al di sopra del Rottalgletscher è ricco di fascino: la natura è qui incontaminata e selvaggia. Esso costituisce insieme al Gletscherhorn e all’Ebnefluh (monti che superano i tremila metri) un maestoso anfiteatro.

In considerazione di tali meraviglie si rimane inevitabilmente delusi quando si osserva la Jungfrau da Sudest, cioè dal belvedere dell’osservatorio «Sphinx» che è collegato con la stazione dello Jungfraujoch mediante una funivia. La vetta è solo 700 metri più in alto, ma raggiungerla non è proprio una passeggiata; molti incidenti si sono verificati sulla via normale.

 

 

I Meyer e la prima ascensione

 

Gli eventi legati alle prime ascensioni della Jungfrau furono dettagliatamente analizzati da William Longman sull’Alpine Journal (vol. VIII).

La montagna fu salita il 3 agosto 1811 da Johann Rudolph e Hieronymus Meyer, figli del topografo svizzero Johann Rudolph Meyer di Aarau, con due cacciatori di camosci (probabilmente Alois Volker e Joseph Bortes).

Essi salirono da Sudest per la Lötschental e a causa dell’alzarsi del Föhn dovettero aspettare un giorno sul Gross-Aletschfirn e raggiunsero la cima il giorno dopo verso le 14. Probabilmente avevano attraversato il nevaio fra Kranzberg e Gletscherhorn ed avevano raggiunto poi la Rottalsattel attraverso il Lauihorn e il Rotttalhorn.

Il percorso successivo viene così descritto: «L’ultima parte della loro scalata conduceva sopra una cresta di ghiaccio molto affilata sulla quale ci si sedette a cavalcioni e con cautela, in parte stando seduti, in parte arrampicandosi, si strisciava verso l’alto guardando in basso a sinistra la scura Lauterbrunnental, a destra i campi di ghiaccio del Mönch. La cima era allora di circa 3 metri e mezzo di diametro e non corrispondeva affatto alla forma che venne osservata da successivi scalatori; ciò fu probabilmente dovuto alla presenza di una spessa crosta di neviche che aderiva alla cima, in realtà molto acuta».

L’imprecisione del loro racconto portò a considerazioni critiche e, per sistemare la questione, Gottlieb Meyer, figlio di Johann Rudolph Meyer che aveva fatto la prima ascensione, scalò la montagna nel settembre 1812 con Alois Volker e Joseph Bortes dall’Aletschgletscher, seguendo probabilmente l’attuale via normale.

Sulla cima fu issata una bandiera visibile da Strahlegg.

 

In slitta sulla Jungfrau

La prima salita invernale venne effettuata nel 1871 da un’americana in maniera piuttosto inconsueta

Meta Brevoort, cresciuta in un convento di Parigi e vissuta in Europa per la maggior parte della sua vita, scalò la cima della Jungfrau il 22 gennaio accompagnata da suo nipote William August Brevoort Coolidge, un chierico anglicano ventunenne, futuro pioniere delle ascensioni invernali.

L’intraprendente americana si servì di una slitta, la quale non era trainata da cavalli, bensì spinta da sei guide, per raggiungere lo Jungfraufirn; di qui proseguì poi a piedi. In compagnia di Meta c’era anche il suo cane Tschingel il quale, essendo salito su 30 vette ed avendo compiuto 36 traversate (dalla Blümlisalp al Monte Bianco), vanta probabilmente ancor oggi il primato nell’alpinismo canino.

 

La via Normale

 

Se il geniale progetto dell’imprenditore zurighese Adolf Guyer-Zeller rifosse potuto realizzare, la stazione terminale della ferrovia della Jungfrau, che nei giorni di bel tempo viene utilizzata anche da quattromila persone, si troverebbe ora sulla cima della Jungfrau. La prima guerra mondiale impedì tuttavia la costruzione dell’ultimo tratto che era stato previsto nel progetto a partire dallo Jungfraujoch.

La ferrovia della Jungfrau permette di giungere in 3-4 ore fino allo Jungfraujoch (3454 m.), il «Polo Nord della Svizzera».

Questa possibilità appare alquanto allettante, tuttavia comporta difficoltà per la necessaria acclimatazione. Con l’aumentare dell’altitudine molti sono oppressi  dall’affanno, ma sono talmente concentrati sul loro obiettivo da non accorgersene. Ciò spiega il notevole numero di vittime. Le cadute si verificano nella traversata ascendente dal Rottalsattel alle rocce della vetta. In presenza di ghiaccio non bisogna certo esitare ad installare dei punti di ancoraggio.

Anche il tratto fino al  Rottalsattel non deve venir sottovalutato. Anche in condizioni ottimali la salita diretta risulta problematica. Lungo la deviazione sullo sperone Nordest del Rottalsattel, di cui si è parlato sopra, possono verificarsi delle slavine nei ripidi versanti che conducono alla sella. Particolare attenzione devono prestare gli scialpinisti.

Da Rottalsattel c’è ancora un’ora abbondante per giungere alla cima. Quattordici barre di ferro ancorate sulla cresta Ovest a distanze di 20-40 metri servono per la sicurezza ai punti di sosta. Alcune sporgono di oltre un metro sopra la roccia e sonno provviste d i un anello per l’aggancio dei moschettoni e della corda. Prima della vetta si deve risalire un nevaio inclinato di 35 gradi. Nel complesso la difficoltà della salita al Rottalsattel si può paragonare a quella della via normale del Mönch o del Finsteraarhorn.

 

La via Guggi

 

Una delle vie più interessanti della Jungfrau è la complicata Via Guggi che fornisce una linea indiretta attraverso i ghiacciai pensili del versante Nord. E’ un percorso che presenta delle difficoltà ed è spesso impraticabile a causa dei crepacci. La via fu aperta nel 1865 da due inglesi, Sir George Young e il Rev. Hereford Brooke George (primo curatore dell’Alpine Journal) con guide, portatori e Christian Almer come prima guida. L’ascensione, durante la quale fu trasportata una scala che facesse da ponte sui crepacci più grandi, fu un vero tour de force per quei tempi. Tuttavia, in assenza della ferrovia della Jungfrau, questo percorso si affermò subito come la via normale. In seguito è stata spesso impraticabile a causa dei crepacci, ma in buone condizioni deve essere considerata una delle più interessanti ascensioni su ghiacciaio delle Alpi, poiché attraversa i pendii settentrionali delle cime ghiacciate dello Schneehorn e del Klein Siberhorn fino alla Silberlücke e di lì, via Silbergrätli, giunge alla cima.

 

Le vie da Lauterbrunnen

 

La ricerca di una via più breve per salire sulla Jungfrau condusse al versante occidentale che fu esplorato a lungo durante gli anni ’60 del secolo scorso. Qui la montagna ha un aspetto impressionante con lunghe marce di avvicinamento per raggiungere il bacino del Rotttal o la base del Silberhorn. Il canalone occidentale del Rottalsattel fu scalato nel 1864 da una comitiva formata da Reginald John Somerled Macdonald, Florence Craufurd Grove e Leslie Stephen con le guide Melchior Anderegg, Jakob Anderegg e Johann Bischof.

L’incidente che si verificò nel 1872, quando Johann Bischof e un’altra guida morirono travolti da una valanga, soppresse la popolarità che aveva raggiunto come via di salita.

 

La via usuale dal Rottal divenne la cresta Inner Rottal che fu scalata nel 1885 (Fritz von Allmen con le guide Graf, Brunner, Schlunegger, H. von Allmen e Stager).

 

La bella cresta Nordovest del Silberhorn fu scalata nel 1865 dal Rev. James John Hornby (futuro preside di Eton) e il Rev. Thomas Henry Philpot con le guide Christian Almer, Ulrich Almer, Johann Bischof e Christian Lauener (al ritorno scesero per il Giessengletscher).

 

La confinante cresta Rotbrett fu scalata il 23 settembre 1887 da Henry Seymour King con Ambros Supersaxo e Ludwig Zurbrücken in condizioni climatiche pessime. Attraversarono la cima della Jungfrau al tramonto e la discesa della via normale, con un vento pungente, si trasformò in un’impresa epica. Dopo un bivacco forzato, il mattino dopo dovettero tagliare molti gradini sul ghiaccio bluastro per scendere fino allo Jungfraufirn.

 

Alla fine di gennaio del 1888 Mrs E. P. Jackson e Emil Boss con Ulrich Almer e Johann Kaufmann effettuarono una traversata invernale, salendo per la parete Est della Jungfrau e scendendo alla Silberlücke, dove furono agevolati dai gradini praticati quattro mesi prima da Ambros Supersaxo. Mentre cercavano di raggiungere il Guggigletscher, furono colti dall’oscurità e costretti a bivaccare. Questa fu l’ultima scalata della straordinaria campagna invernale di Mrs Jackson, durata 10 giorni e così commentata da William August Brevoort Coolidge sull’Alpine Journal: «Una simile serie di grandi ascensioni invernali non è stata compiuta finora da nessuno scalatore inglese e resterà insuperata a lungo». Ma il bivacco forzato ebbe delle conseguenze: Mrs Jackson fu colpita da una grave forma di congelamento ai piedi che le procurò grave sofferenza e l’amputazione di alcune dita, un infortunio che interruppe bruscamente la sua straordinaria carriera alpinistica.

 

La cresta Nordest

La Wengen Jungfrau (4089 m.) ha tutti i diritti di non essere considerata una cima minore. Essa può essere raggiunta con una breve escursione dalla cima principale, ma il modo migliore è attraversarla nel corso di una ascensione della cresta Nordest, lunga un chilometro e mezzo: una scalata mista su una roccia splendida con passaggi di IV grado sulle esposte placche più alte.

Stranamente, in considerazione di ciò che abbiamo appena detto, la cresta fu affrontata per la prima volta nel 1903, in discesa, da Charles Francis Meade con le guide Ulrich Führer e Heinrich Führer. La loro fu un’impresa rischiosa ed estremamente impegnativa. Attraversata la cima poco dopo le 6, impiegarono 14 ore a scendere lungo la cresta, su cui piazzarono molti e difficili ancoraggi. Raggiunta la base del gradino più alto, Meade iniziò a sentirsi sicuro del risultato finale: «Fu un sollievo sentire Ulrich che così presto (alle 9), era ottimista sulla riuscita della nostra impresa. Comunque fu sufficiente dare un’occhiata alla parte alta della via che avevamo percorso per convincerci che tornare indietro era ormai impensabile. Infatti, una grande cresta alpina vista da vicino presenta una immagine di inaccessibilità assoluta, una delle più spaventose che si possa concepire… coloro che non hanno mai praticato l’alpinismo non sapranno mai che una scalata difficile ad alta quota è una delle esperienze più emozionanti che un uomo possa vivere».

 

L’ascensione della cresta fu compiuta, 8 anni più tardi (1911), da Hauptmann A. Weber e Hans Schunegger.

Nel 1923 fu scalata in solitaria da Joseph Georges le Skieur in quattro ore.

E negli anni ’50, da Hermann Buhl in solo due ore.