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Charles Houston – (1913 – 2009)

 

 

Charles Houston medico e alpinista è scomparso il 27 settembre 2009 all’età di 96 anni. Nato a New York nel 1913, fin dall’infanzia frequentò le montagne e a soli 12 anni con la famiglia visitò le Alpi. Frequentò la prestigiosa università di Harvard, dove entrò in contatto con altri giovani alpinisti dell’epoca tra i quali Bradford Washburn. Nel 1934 fu sua la prima ascensione del Mount Foreaker in Alaska. Due anni dopo fu invitato a partecipare alla spedizione americana al Nanda Devi con Bill Tilman e il veterano dell’Everest Noel Odell che con quell’ascensione stabilirono un record di altezza. Con Bill Tilman Charles Houston partecipò poi alla spedizione esplorativa all’Everest del 1950 e nel 1953 fu a capo dello sfortunato tentativo americano al K2, in cui perì Art Gilkey.

 

 

 

 

 


193821 luglio. Le spedizioni al K2 riprendono con quella statunitense capeggiata da Charles Houston con Bob Bates, Bill House, Paul Petzoldt, Norman Streatfeild e Dik Burdsall con otto portatori capitanati dallo sherpa Pasang Kikuli. Charles Houston con Paul Petzoldt superano il difficile “Camino House o Camino Bill” sulla Cresta Sud-est, dello Sperone Abruzzi, e raggiungono quota 7925 m. ma furono costretti a ritirarsi per la mancanza di fiammiferi per accendere le stufe e la minaccia di maltempo. - Karakorum - Himalaya.

 

19533 giugno. Charles Houston con la sua ultima spedizione statunitense tenta ancora una volta il K2, la squadra è composta da Bob Bates, Pete Schoening, Arthur Gilkey, George Bell, Tony Streather, Dee Molenaar, Bob Craig, Otto alpinisti molto preparati, ma anche questa spedizione si concluse in tragedia. La squadra stava cercando di far scendere a valle il compagno geologo Arthur K. Gilkey, colpito da tromboflebite e da un probabile edema polmonare a quota 7800 m. dello Sperone Abruzzi. Mentre i compagni stavano cercando un posto tranquillo per fare una sosta, Arthur Gilkey, bloccato su una barella il 10 agosto fu spazzato via da una valanga. - Karakorum - Himalaya.

 

1953 – 10 agosto. Pete Schoening e altri sette americani arrivarono sotto la vetta del K2, che in quella data era ancora solo un tentativo, ma anche con un grande desiderio di conquistare la vetta. Rinunciarono a salirla per tentare di portare in salvo Arthur Karr Gilkey il loro compagno colpito da tromboflebite. Durante la discesa si scatenò una tempesta. Pete Schoening stava assicurando dall’alto il ferito messo su una barella, mentre gli altri cinque alpinisti, legati alla stessa corda, scendevano lentamente. George Bell, che aveva le mani congelate, perse l’equilibrio e scivolo lungo il pendio ghiacciato. La corda cui era legato si tese con uno strattone, facendo perdere l’equilibrio anche a Tony Streather che tentò freneticamente di effettuare la manovra di auto arresto, senza però riuscire a conficcare la piccozza nel terreno. Mentre i due uomini precipitavano a valle senza nessun controllo, la loro corda incrociò quella di Charles Houston e Bob Bates, che per l’impatto si tese. Non avendo avuto il tempo di prepararsi, prima Charles Houston e poi Bob Bates scivolarono. Quattro uomini stavano precipitando verso quella che sembrava una morte certa. Ma qualcosa doveva ancora accadere. La corda che legava George Bell e Tony Streather s’impigliò in quella di Arthur Gilkey e Dee Molenaar, strattonando quest’ultimo e facendogli perdere l’equilibrio. Pete Schoening, una ventina di metri sopra Arthur Gilkey, vide quello che stava accadendo. Si gettò sulla piccozza da ghiaccio incastrandola tra dei massi facendo sicurezza a spalla. Lo trattone arrivò quando la caduta di Dee Molenaar cominciò a trascinare l’impotente Arthur Gilkey giù per il pendio, ma Pete Schoening riuscì fermare la barella e la breve lunghezza di corda interruppe la caduta di Dee Molenaar. Se i sette uomini non furono spazzati via dalla cresta contemporaneamente fu solo per il fatto che gli strattoni arrivarono uno dopo l’altro, in successione. I suoi compagni si fermarono appesi alla corda, scaglionati lungo i cinquanta metri sotto di lui. Fu un salvataggio da manuale, uno dei soccorsi in alta montagna più notevoli di tutti i tempi. Gran parte dell’attrezzatura era andata persa in seguito alla caduta. Bob Craig, che non aveva assistito all’incidente udii la voce di Pete Schoening che gli urlava di prendere una piccozza da ghiaccio per ancorare Arthur Gilkey. Allora aveva affrontato il traverso in solitaria e conficcando la piccozza appena sopra il corpo supino di Arthur Gilkey legandola all’intreccio di corde che servivano a trasportare la barella improvvisata. Bob Craig disse a Arthur Gilkey che sarebbero tornati a prenderlo appena avessero finito di piazzare le tende. Quando Bob Bates, Bob Craig e Tony Streather tornarono per prendere il compagno Arthur Gilkey era scomparso. Una valanga aveva trascinato via il margine della cresta, portando con sé quella vittima impotente. Anche se non scambiarono nemmeno una parola durante la discesa, ciascuno di loro si rendeva conto che molto probabilmente la scomparsa di Arthur Gilkey aveva salvato loro la vita. Il team impiegò cinque giorni per raggiungere il campo base. Riuscirono a portare a termine la discesa senza altri incidenti ma il merito fu non solo della forza di questi sette uomini ma anche della sollecitudine con cui si preoccuparono l’uno dell’altro. Il 15 agosto, quando arrivarono al campo, erano tutti demoralizzati, schiacciati dal peso della sconfitta e soprattutto, dal dolore per la perdita del loro compagno. Su una piccola cengia sopra il campo base, gli hunza costruirono un tumulo di pietre in memoria di Arthur Gilkey. Nel corso degli anni, dal 1953 altre targhe dedicate ad alpinisti scomparsi sul K2 sono state aggiunte al memoriale, che è diventato un altare solenne per tutti gli scalatori che piazzano il campo base sul ghiacciaio Godwin-Austen. - Karakorum - Himalaya.

Spunti di narrazione tratti da: K2 la montagna più pericolosa della terra di ED VIESTURS.