torna al menù

 

Emil Solleder – (1899 - 1931)

 

 

(Monaco 1899 - Meije 1931)

Emil Solleder lasciò poco di scritto, ma alcune grandi vie restarono a lungo come pietre di paragone; affermò in un suo diario che, più che alle difficoltà tecniche, egli badava ai rapporti umani che si possono stringere nella scalata. Per qualche tempo Solleder gestì un rifugio nelle Alpi di Kitzbuhel, poi diede spazio al suo spirito irrequieto e individualista e scorrazzò per gran parte delle Alpi orientali. Fu guida alpina e come arrampicatore s'impose fra i migliori esponenti della Scuola di Monaco, che negli Anni Venti dettava legge nelle Alpi calcaree per la superiore tecnica di scalata. Solleder affrontò con decisione i problemi delle grandi pareti dolomitiche allora in primo piano. Le sue tre scalate più grandi sono: la parete Nord della Furchetta (1925, con Fritz Wiessner), già tentata da Dulfer; la parete Nord-Ovest della Civetta (1925, con Gustav Lettenbauer), considerata la prima via di sesto grado nelle Dolomiti, la parete Est del Sass Maor (1926, con Franz Kummer). Solleder fu nelle Dolomiti per l'ultima volta nel 1930, quando salì una parete sulla Torre Gialla di Cima Canali (Pale di San Martino). Non ebbe modo, come avrebbe voluto, di partecipare alla «gara» per la conquista della parete Nord del Cervino: trovò infatti la morte nel Delfinato mentre scendeva, con un cliente, dalla Meije.

 

Emil Solleder è considerato come l’iniziatore del sesto grado. Aveva un passato avventuroso e difficile; era stato perfino in Alaska a cercare l’oro…! Poi si era adattato a qualunque mestiere nella lontana America, dal facchino al minatore. Era poco più che un ragazzo quando fece ritorno alle sue montagne bavaresi. Non sappiamo perché cominciò ad arrampicare, e neppure ci interessa capirlo, comunque sappiamo che Solleder incarnava alla perfezione la tipologia dell’alpinista  tedesco di quell’epoca: romantico, solitario, individualista, probabilmente nell’alpinismo trovava un mondo mistico tutto suo, una grandezza ed una fuga delle miserie che affligevano la Germania del dopoguerra. Comunque sia, dell’alpinismo era profondamente convinto e all’alpinismo si volse dedicando tutto se stesso: “Si rimprovera spesso all’alpinista temerario di spingere troppo in là il suo gioco. Ma un uomo estraneo a tale gioco, può forse comprendere ciò che esso significa per l’alpinista?”. Le parole di Solleder ci ricordano quelle di Mummery ed anche quelle di un grandissimo poeta che solo nella fantasia scalò la montagna…del Purgatorio: “Intendere non può chi non lo prova”.

Come tutti i bavaresi aveva cominciato ad arrampicare sulle pareti calcaree del Nord, soprattutto nel Karwendel, nel Kaiser e nel Wetterstein, dove in breve acquisì una tecnica perfetta.

Ma i suoi grandi successi ci portano alle Dolomiti. Giungendo sulla scia dei compagni Felix Simon e Roland Rossi di Monaco che nel 1924 superano in due giorni la parete Nord del Pelmo, incontrando difficoltà di V° superiore.

Il 1 agosto 1925 con Fritz Wiessner supera la magnifica parete Nord della Furchetta, la più alta cima delle Odle che domina i verdissimi pascoli e le cupe foreste della silenziosa e pittoresca Val di Funès.

Su questa parete già Dulfer aveva tentato invano: giunto ad un terrazzino (il “pulpito” Dulfer) sotto la parete terminale, forse aveva trovato il suo limite – difatti solo il grande Vinatzer riuscirà a salire direttamente, con difficoltà assolutamente estreme, molti anni dopo – di fronte alla gialla e friabile parete terminale o forse non intuì la traversata che permise a Solleder di proseguire fino in vetta. Una bella impresa, ma che ancora non supera quelle compiute da Francesco Jori e da Roland Rossi.

La muraglia Nord-ovest del Civetta è alta 1200 metri ed è una parete che non ha rivali su tutta la catena alpina. Ed è su questa parete che Emil Solleder compie il suo capolavoro, realizzando un’impresa storica, non solo per le difficoltà superate, ma anche per lo stile elegante con cui la scalata viene condotta.

            “Sapevo che lassù nel sud si innalzava un erto castello di roccia, la Civetta. Non l’avevo mai vista, ma ne avevo spesso udito parlare. Su quella parete, si diceva, non bisogna mettere le mani. Una muraglia smisurata, scariche terribili di pietre, molto ghiaccio. Tutto una schiera di celebri alpinisti l’avevano tentata invano…Ecco, i raggi del sole al tramonto hanno il sopravvento, accarezzano il ghiacciaio della Marmolada facendolo scintillare, baciano la cima del Sella striata di neve fresca ed allungano smisuratamente l’ombra del mio corpo sulla cima pianeggiante del Col di Lana. Verso sud emerge dalla nebbia una montagna superba. E’ uno spettacolo reale?. Mai avevo visto sulle Alpi una parete come questa. Ben presto, la gigantesca muraglia, volta a Nord-ovest, è battuta in pieno dalla luce del tramonto e si spiega allo sguardo nella sua ampiezza regale, coperta fino alla base di neve fresca, veramente degna del tempo e degli sforzi, che già i migliori hanno spesi, per conquistarne la verginale bellezza. Forse questa montagna esercita un fascino magnetico?. Eccomi camminare curvo sotto un pesante sacco per la strada che sale dallo splendido lago di Alleghe al rifugio Coldai…”.

Le sensazioni di Solleder sono eguali a quelle di ogni altro alpinista che per la prima volta si sia trovato a tu per tu con la grande muraglia del Civetta.

Pochi giorni dopo la vittoria sulla Nord della Furchetta, Solleder realizza la sua impresa, in modo magistrale, percorrendo un itinerario diretto e di estrema logicità, che in seguito sarà superato in difficoltà ma non certo in eleganza del tracciato: ancora oggi, malgrado i tentativi di aprire una via diretta sulla stessa parete, la Solleder resta ancora la linea ideale di salita.

Questo il commento di un altro grande, Giusto Gervasutti, detto “il fortissimo”: “Solleder affronta la parete dove l’altezza è massima, dove la linea di ascensione è esteticamente perfetta, nella sua verticalità dalla base alla vetta, dove la costruzione si presenta più ardita e più ardua. Con Gustav Lettenbauer e Gobel viene respinto una prima volta dopo trenta ore di lotta.

Ma tre giorni dopo, lasciato Gobel al rifugio, perché ferito e menomato, raggiunge vittorioso la vetta. E’ così compiuta la più grande salita delle Alpi Orientali…”.

(G. Gervasutti, Scalate nelle Alpi, SEI, 1961).

Indubbiamente la Solleder era più difficile delle altre vie, aperte in precedenza, per molti fattori: innanzi tutto per il livello tecnico vero e proprio dei passaggi, difficili e molto continui, superati in assoluta arrampicata libera con l’uso di soli 15 chiodi di assicurazione, e poi per l’ambiente estremamente severo della parete, che ne fa più una salita occidentale che dolomitica. Tutta l’arrampicata si svolge quasi sempre in camini bagnati e ghiacciati, sovente sotto il tiro delle pietre o sotto cascate d’acqua.

Piero Rossi dice: “Una valutazione della grandiosa impresa di Emil Solleder e Gustav Lettenbauer non può prescindere dalla severità dell’ambiente della “direttissima” della Civetta, un ambiente che, per le dimensioni ed i pericoli obbiettivi, l’esposizione a Nord, la frequente presenza di rocce bagnate o vetrate e di cadute di pietre, l’innevamento che si protrae fino a stagione avanzata e si rinnova anche nel cuore dell’estate, ad ogni bufera di qualche intensità, la linea di ascensione obbligata, lungo una interminabile serie di gole e camini, è prettamente “alpino”.

(P. Rossi, La Grande Civetta).

Oggi questa via è divenuta una grande classica dolomitica e purtroppo a volte non conserva il suo primitivo valore a causa di eccessive chiodature da parte di alpinisti non preparati alle difficoltà. Ma se i passaggi sono affrontati nelle condizioni della prima ascensione, alcuni tratti sono certamente di sesto grado in libera arrampicata, mentre gran parte della via si mantiene su un quinto grado continuo e molto impegnativo dal punto di vista tecnico.

Il trittico di Emil Solleder in Dolomiti viene completato nel 1926 dalla magnifica via aperta con Franz Kummer sulla imponente parete Est del Sass Maor (Pale di San Martino), dove per evitare due fasce strapiombanti Solleder compì due “traversate” espostissime in arrampicata libera, di un livello tecnico decisamente eccezionale per quei tempi.

 

Ma nelle stesse Dolomiti aveva realizzato altre scalate di assoluto prestigio.

 

Emil Solleder aprì il fianco Ovest della parete Nord del Catinaccio.

 

Emil Solleder aprì una via sulla parete Nord della Pala di San Martino.

 

Emil Solleder aprì una via sulla parete Ovest di Cima Canali.

 

1925 - 1 agosto.Due vittorie porgono l’alpinismo tedesco al vertice: la guida Emil Solleder con Fritz Wiessner vince la Nord della Furchetta (V+), già tentata inutilmente da Dulfer.

 

1925 - 7/8 agosto. Emil Solleder traccia la via che lo renderà celebre con Gustav Lettenbauer: Apre la direttissima alla parete Nord-ovest della Civetta, «la regina delle pareti», alta più di 1.000 m. Emil Solleder impiegò decisamente la tecnica dell’arrampicata artificiale, usò dodici chiodi e piantò nella fessura iniziale un cuneo di legno, il primo della storia dell’alpinismo moderno, e venne considerata la prima ascensione di VI° grado delle Alpi.

 

1925 - Il 1 agosto Emil Solleder con Fritz Wiessner supera la magnifica parete Nord della Furchetta, la più alta cima delle Odle che domina i verdissimi pascoli e le cupe foreste della silenziosa e pittoresca Val di Funès.

Su questa parete già Dulfer aveva tentato invano: giunto ad un terrazzino (il “pulpito” Dulfer) sotto la parete terminale, forse aveva trovato il suo limite – difatti solo il grande Vinatzer riuscirà a salire direttamente, con difficoltà assolutamente estreme, molti anni dopo – di fronte alla gialla e friabile parete terminale o forse non intuì la traversata che permise a Solleder di proseguire fino in vetta.

 

1926 - Fu Emil Solleder a portare le massime difficoltà nel gruppo delle Pale, sulla grande parete Est del Sass Maór. Gli era compagno Franz Kummer; i due tedeschi impiegarono otto ore per superare la parete. Affrontarono la parte bassa, liscia e ritenuta in scalabile, e per un camino obliquo giunsero sotto gli enormi strapiombi della parte alta, solcata da un dietro fessurato. Il capolavoro di Emil Solleder fu trovare l’accesso al diedro evitando gli strapiombi, con due traversate e una fessura strapiombante.

 

1928 - 30 luglio. Emil Solleder salì un curioso e ardito pinnacolo senza nome e intitolò quella torre alla patria dei suoi compagni di cordata: H. F. Fontein e J. W. Laavman. (Olandesi). - La scalata si effettua lungo lo spigolo Est-Sud-Est della Torre Olandese salendo da una specie di selletta per una piccola fessura obliqua da sinistra a destra. Al termine della fessura si traversa a sinistra con grande difficoltà su una placca con piccoli appigli spioventi e si sale per un'altra fessuretta fino ad un terrazzo, donde per le facili rocce si raggiunge la vetta (35 m; V° grado. - Catena degli Sfulmini - Gruppo di Brenta - Dolomiti di Brenta.

 

1931 - 30 giugno Emil Solleder come lo sventurato Emil Zsigmondy (il 6 agosto 1885) perse la vita in un tragico incidente sulle creste della Meije, mentre guidava una cliente lungo la traversata di quella montagna.

 

Solleder era guida, ma realizzò le sue imprese con lo spirito e la passione del dilettante.

Anche se egli appartiene alla “Scuola di Monaco” e fece quindi uso di chiodi, le sue imprese restano comunque dei modelli di arrampicata libera condotta con stile elegante e pulito.