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Reinhold Messner

 

Reinhold Messner – (1944

 

 

Reinhold Messner è nato nel 1944 in Val di Funes, (BZ) in Alto Adige, secondogenito di nove fratelli.

Unanimemente è considerato il migliore alpinista vivente.

Personaggio circondato da un alone di leggenda, ha saputo esprimere nell’alpinismo l’incredibile capacità dell’uomo a superare i limiti che esso stesso ha determinato.

Anche le sue imprese hanno un che di leggendario e, a volte, sfiorano il sovrumano.

Sappiamo, comunque, che esse sono il frutto di lunga e attenta preparazione.

E’ in ogni caso sostenuto da una non comune intelligenza che analizza compiutamente ogni problema, cercando innanzitutto di risolverlo in sede teorica e di superarlo prima psicologicamente.

Le sue esperienze incominciano sui monti di casa, sui quali arrampica col padre e coi fratelli.

Raggiunge così un livello di preparazione che gli consente, tra il 1960 e il 1984 di realizzare quasi 500 ascensioni, quasi tutte estreme: ripetizioni di tutte le vie più difficili della catena alpina, sempre in tempi particolarmente limitati e con altrettanto limitati mezzi artificiali. Delle quali molte prime, invernali e solitarie.

Le sue imprese sulle Alpi, al grande pubblico meno note dei successi himalaiani, sono state tuttavia fondamentali nella storia dell’alpinismo.

Diverse sue vie, aperte in Dolomiti negli anni 1960, vantano difficoltà superiori all’allora tradizionale sesto grado, arrivando fino all’incredibile ascensione sul Sass della Crusc, con difficoltà di 8-.

 

1960 – Inizia per opera di Reinhold Messner un movimento di pensiero simile a quello sostenuto da Royal Robbins in America.

Parlando delle salite della Grande di Lavaredo e della Parete Rossa così egli si esprime: «Con queste due imprese si dimostrò che non è impossibile superare qualsiasi ostacolo quando la cordata è abile ed efficiente, e sa servirsi con pazienza dei mezzi artificiali.

Insomma, chiodando si supera qualsiasi parete.

Questo è il male, giacché per la verità storica bisogna dire e ridire che da quelle imprese si cominciò a ricorrere e a tollerare qualsiasi mezzo artificiale.

Si prese l’abitudine dei chiodi a espansione e del cordino per il rifornimento dal basso seguendo, per questo, l’esempio di Cassin sull’adiacente parete della Cima Ovest trentacinque anni prima, e l’abitudine dilagò fino a contaminare le scalate dove né gli uni né l’altro sarebbero stati necessari.

Su una parete di 400 metri sono stati infissi 400 chiodi! Come dire che l’arrampicata naturale, l’arrampicata in libera con uno o due chiodi d’assicurazione ogni tiro di corda, in tali prestazioni era del tutto abolita.

L’uso eccezionale d’un chiodo come presa per oltrepassare un breve tratto altrimenti impossibile si giova di queste esperienze per diventare abitudine, sistema per superare tutta intera la parete, dall’attacco fino a pochi metri sotto la vetta, dove solitamente cessa la verticalità della roccia».

 

1966 - 4 settembre. Heini Holzer e Reinhold Messner, in 5 ore arrampicarono per la parete Sud del Campanile Caigo realizzando la 2° salita e dedicando la nuova via a Giulio Gabrielli. Il Campanile vero e proprio si innalza quasi 200 m. sopra una cengia: dai ghiaioni circa 400 m; chiodi usati: 35 normali e 5 a pressione, 4 cunei; quasi tutti lasciati. Difficoltà: VI°-, passo A2. – Massiccio di Cima BrentaGruppo di BrentaDolomiti di Brenta.

 

1967 - Sepp Mayerl, Heini Holzer e Reinhold Messner in prima invernale vincono lo Spigolo Nord dell’Agner.

 

1967 - Reinhold Messner, con Heini Holzer, Sepp Mayerl e Renato Reali, aprono un itinerario sulla Nord Ovest della Civetta chiamandolo: la via Degli Amici. La via si compone di 40 tiri di corda vicini alla Solleder e alla Philipp-Flamm. Sono assicurati da 42 chiodi e 2 cunei. La valutazione data è V+, ma è influenzata in ribasso dalle diverse correnti di pensiero. Lo scopo ora è quello di aprire nuovi itinerari vicini a quelli vecchi. Non necessariamente più diretti, ma che soddisfino le esigenze della nuova filosofia, quella dell’arrampicata in libera. Dove per libera si intende il non piantare chiodi, o piantarne lo stretto necessario, avvicinandosi nuovamente alle teorie di Paul Preuss.

 

1967 - Heini Holzer, Günther Messner e Reinhold Messner salgono la parete Nordest dell’Agner e aprono la «via dei Sudtirolesi».

 

1968 Reinhold Messner, ed il fratello Günther Messner aprono un’altra via. Questa volta si trovano sulla parete Nord della Seconda Torre di Sella. Essi salgono 350 metri di parete con 8 chiodi, e valutano i passaggi di +, ritenendoli più facili di altri passaggi superati altrove e valutati maggiormente.

Ritroviamo ancora il problema della scala chiusa. I passaggi di cui si riferisce Messner per il confronto saranno in futuro valutati di , e quelli da lui oggi superasti sulla Seconda Torre di Sella lieviteranno al 6°/6°+. Il tutto è causato dalla “compressione” verso il basso a cui costringe la scala chiusa al VI° grado.

Tornando ai fratelli Messner cerchiamo di capire meglio la loro filosofia attraverso il resoconto che fa Günther di questa apertura: «(…) avevo preso in giro mio fratello quando all’attacco pensava ancora che questi 250 metri di parete fossero possibili senza artificiale. Potrei scommettere che lui stesso non lo credeva. E se non fossi stato presente quando lo dimostro, ancora oggi sarei scettico… Continuavo a rodermi nella mia rabbia: ha fatto tante e tante prime, eppure non riesce a vedere che questa parete a placche non è possibile in libera. Vuol salire con una dozzina di chiodi di assicurazione e basta, il cretino… Reinhold tentò a sinistra, poi diritto, poi a destra e di nuovo diritto. Questo, Reinhold lo chiama “mettere alla prova la percorribilità di una parete”. Cinque tentativi, dieci tentativi. Ma prima di rinunciare va su, e senza chiodi». « Messner si è dimostrato fedele ad un’etica severa e rigorosa, che pone l’arrampicata libera ad un ruolo assolutamente prevalente e si è sempre battuto contro l’abuso dei mezzi artificiali in scalata. La sua concezione alpinistica si fonda sul coraggio lucido e costante nell’ideazione, non intimorito da alcun tabù e sull’eleganza e la sicurezza nella realizzazione pratica. Anche se le sue imprese possono apparire come le gesta di un temerario o di un ambizioso, va ricordato che esse sono invece il frutto di una preparazione serissima e tenace e di una determinazione che non sembra conoscere alcuna debolezza».

 

1968 Reinhold Messner, ed il fratello Günther Messner, con pedule rigide, senza cunei, senza nut, e con soli 60 chiodi, realizzano una via sul Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc. L’itinerario innalza enormemente le difficoltà fino a questo momento superate.

Reinhold Messner infatti supera un muretto sprotetto di quattro metri, che i pochi successivi ripetitori (tra cui Heinz Mariacher) valuteranno di 6b+/6c, e sul quale oggi è infisso alla base un buon chiodo da roccia.

Mathias Rebitsch e Gian Battista Vinatzer avevano toccato il 6b-, Reinhold Messner lo supera.

Nel suo racconto percepiamo la valenza dell’impresa: «(…) avevamo bivaccato in un buco della grande cengia e alle 8 eravamo patiti. Dopo due brevi tiri di corda il pilastro diventava giallo e verticale. Solo verso destra si presentava la possibilità di continuare in libera. Traversammo fino a che fu possibile, piantammo un chiodo ad anello e pendolammo verso destra fino a una rampa. Su questa ci portammo ad un piccolo pulpito sul verticale spigolo del pilastro. Fino a qui era andato tutto bene. La natura ci aveva offerto il cammino e noi l’avevamo seguito. Ma ora? Ancora due metri in libera, straordinariamente difficili, ma poteva ancora andare. Poi ero al termine delle mie abilità arrampicatorie. Trovai un minuscolo buco, profondo 2 o 3 centimetri. Piantai un chiodo corto a lama. Teneva. Ancora un chiodo, poi ancora arrampicata libera. Finalmente un paio di appigli. Riposi il martello nella tasca. Sfruttando una sottile fessura sul fondo di un diedro appena accennato riuscii ad innalzarmi con un’ardita arrampicata libera e, appena in tempo, raggiunsi una stretta cengia. Qui era proprio finita. Una placca liscia , senza fessure e con pochissimi appigli, sbarrava la prosecuzione. Quattro metri più in alto c’era una fessura, sopra di me una cengia sulla quale a malapena riuscivo a posare i piedi. Al di sotto un gran vuoto, un appicco strapiombante. Sembrava proprio impossibile andare avanti. Tuttavia non mi diedi per vinto. Tentai. Ritentai. Eppure in mezz’ora non mi alzai di un centimetro. Anche tornare indietro non era più possibile. Mi sforzai inutilmente di ridiscendere in arrampicata. Non ce la facevo e mi mancava il coraggio di salire. Bisognava rinunciare, pensai, peccato. Salivo, ridiscendevo. Tentativi disperati. Con il proposito di tentare la discesa, ritornavo sempre al punto di uscita sulla cengetta prima di perdere l’equilibrio. E appena mi ritrovavo sulla cengia, riprendevo le capacità di riflettere logicamente. Indietro non si poteva andare. Di nuovo mi asciugai le punte delle dita sui pantaloni. Dovevo farcela, solo questi quattro metri! Il pensiero mi imponeva come un ordine. Devo tentare! Sopra c’è un piccolo appiglio, giusto per metterci le unghie. Se riesco a prenderlo non devo più tornare indietro, non devo mollare. Poi devo alzare al massimo il piede destro, innalzarmi con un movimento bilanciato e raggiungere con la mano sinistra la lama risolutiva per tirarmi su. Nella mia testa frullava un solo pensiero: salire, poi l’appiglio in alto a destra. Oggi non so più come ho fatto ad arrivare su. So solo che mi ritrovai sopra, sollevato, pieno di gioia, e tutto era sembrato facile. Qualche ora più tardi, sulla cima, non abbiamo parlato di questo passaggio ma della situazione che si era creata sotto di esso. E se oggi penso al Pilastro di Mezzo, vedo tutto come allora. Solo la via d’uscita è aperta. Una placca liscia, senza fessure e pochissimi appigli; 4 metri più in alto una fessura,sotto di me una cengia larga quanto i miei piedi Al di otto un gran vuoto, un appicco strapiombante. Un’impresa che rimane».

E’ interessante notare come quasi ogni grande innalzamento delle difficoltà sia avvenuto su itinerari aperti spesso sotto il monito di “o passo o cado”.

 

 

1968 – Il frenetico Reinhold Messner, accompagnato dal fratello Günther Messner, e Sepp Mayerl salgono la parete Nordest dell’Agner (1400 metri) in prima invernale per una via nuova, ed interamente in arrampicata libera (tranne un breve tratto di 20 metri).

Sostanzialmente essi hanno un approccio completamente diverso alla montagna. Se in precedenza le cordate erano pronte a superare l’intera parete a qualsiasi costo, la cordata dei fratelli Messner e Sepp Mayerl è invece disposta ad indietreggiare se il “prezzo morale” da pagare è troppo alto. Essi sono quindi pronti a tornare indietro di fronte all’impossibile, e questo concetto è ben chiaro nell’articolo di Reinhold Messner, dal titolo appunto L’assassinio dell’impossibile, dove si legge: «Salviamo dunque il drago, e in avvenire, proseguiamo sulla via indicataci dagli uomini del passato: io sono convinto che sia ancora quella giusta!. Calza gli scarponi e parti. Se hai un compagno, porta con te la corda ed un paio di chiodi per i punti di sosta, ma nulla di più. Io sono già in cammino, preparato a tutto: anche a tornare indietro nel caso ch’io m’incontri con l’impossibile. Non ucciderò il drago; ma se qualcuno vorrà venire con me, proseguiremo assieme verso la vetta, sulle vie che ci sarà dato di percorrere senza macchiarci d’assassinio».

 

1969 – Nel suo articolo del 1968 (L’assassinio dell’impossibile) Reinhold Messner indicava come esempio di abuso di mezzi artificiali la via Degli Strapiombi di Hasse-Steinkotter-Barbier alla Cima d’ Ambiez. Proprio quella realizzazione a cui Claude Barbier, come abbiamo visto, aveva partecipato casualmente e passivamente. Claude rimase molto scosso dalle dure critiche di Messner, che nell’articolo esprime idee e giudizi proprio eguali a quelli stessi che Barbier difende da anni. Quest’ultimo non può allora che condividere ed apprezzare i contenuti, pur sentendosi ferito nell’animo.

E’ dunque per risposta che, con gli amici Almo Giambisi e Carlo Platter, Claude Barbier apre la via Del Drago sul Lagazuoi Nord. La via, 300 metri di parete verticale e bellissima, offre alcune lunghezze di e 6° grado interamente percorse in libera.

Claude Barbier, con la sua solita ironia, inizia ad appassionarsi a tutta la letteratura, anche fumettistica, che tratti o riproduca come soggetto un drago.

 

1969 – L’indomabile Reinhold Messner, dopo aver bivaccato sulla cengia a metà parete della Sud della Marmolada di Rocca, raddrizza, sempre in libera, la via Vinatzer-Castiglioni. Messner non è da solo per scelta: «Nessuno aveva voluto partire con lui, perché nessuno credeva possibile salire quei 400 metri in libera. (…). Sulla Punta di Rocca superare in prima ascensione passaggi di 6°/6°+ è veramente una grande impresa. «Questa rimarrà forse la mia “prima” più importante, per il fatto che è conforme alla natura della montagna e contemporaneamente all’ideale di bellezza di una direttissima. Avevo arrampicato su quella parete per due giorni. Con le punte delle dita mi ero tenuto saldamente ad essa, l’avevo cercata a tastoni. Non avevo mai fatto dei calcoli, avevo riflettuto, osservato.Nella montagna io vedo ancora un pezzo di natura. Per me una parete non è solo un ammasso di pietre, ma un essere vivente che si osserva, si ascolta, con cui si vive. A priori sulle montagne non esiste alcuna via; solo quando l’uomo la escogita, la studia e la traccia, essa compare. Questi itinerari non sono necessari, però possibili, e ciò che di solito vale per tutte le creazioni, è valido anche per una prima ascensione. Io penso in modo concreto, scientifico, pratico e sicuro, però mi affascina ciò che è superfluo: e la montagna ha il valore che noi le attribuiamo». Ancora: «Le vie sono declassate perché superchiodate, e sono superchiodate perché coloro che le percorrono non sono più – almeno in massima parte – alpinisti autentici: sono individui che fanno dell’alpinismo senza amore, che vanno in montagna mirando a conseguire soltanto il massimo effetto esteriore con il minimo sforzo e rischio. E i frutti sono quel che sono: molte cose abborracciate alla meglio e poche, pochissime imprese veramente valide e degne di ammirazione».

 

1969Reinhold Messner e Konrad Renzler salgono la Marmolada di Penia in libera per la nuova nata la via Sudtirolerweg.

 

1969 Reinhold Messner effettua la prima solitaria della parete Nord delle Droites, nel gruppo del Monte Bianco, ritenuta in assoluto la via più difficile, su terreno misto, della catena alpina. L’impresa viene liquidata in sole 7 ore di ascensione, mentre tutte le precedenti cordate sono state costrette ad almeno due bivacchi.

 

1969 - 25 luglio. Il problema del Pilastro Centrale della parete Nordest delle Droites venne risolto da Erich Lackner di Vienna e da Reinhold Messner.

 

1969 - Reinhold Messner da solo vince il diedro Philipp, sul Civetta, forse la scalata su roccia pura più difficile delle Dolomiti.

 

1972 - 25 aprile. Reinhold Messner, (spedizione Wolfgang Nairz). Con il Manaslu, inizia la lunga serie di successi sugli 8000. Sale per il versante Sud - (plateau sommitale raggiunto a 7400 m.), con Franz Jager, poi Franz rinuncia e scende verso la tenda sparendo per sempre nella nebbia. Messner procede in vetta da solo.

 

1975 - Reinhold Messner con Peter Habeler, supera in sole 10 ore la terribile parete Nord dell’Eiger.

 

1975 - 10 agosto. Come un faro, le idee di Reinhold Messner hanno anticipato e orientato l'evoluzione dell' alpinismo himalayano, con Peter Habeler, inaugura le spedizioni superleggere in Himalaya scalando l'Hidden Peak in stile alpino. Non sono tanto le difficoltà tecniche a rendere eccezionale l'ascensione (anche se Messner parla di qualcosa come due Nord del Cervino), ma è l'idea di poter arrampicare su un Ottomila come sulle Alpi a dischiudere le prospettive per il futuro. Salgono senza portatori e senza ossigeno.

 

1978 - Reinhold Messner è il primo con Peter Habeler, a salire sull’Everest, la cima più alta della Terra, senza fare uso di bombole a ossigeno. Anche se le circostanze sono completamente diverse dall'Hidden Peak (la via normale dell'Everest è in parte attrezzata da una spedizione austriaca).

Il successo della salita all’Everest senza ossigeno, realizzata davanti all’incredulità del mondo alpinistico, conferma definitivamente Messner come l’alpinista più rilevante dell’ultimo ventennio.

 

1978 – agosto. Reinhold Messner, solo, sale e scende in tempo record la tormentata, selvaggia, pericolosa e bellissima parete di Diamir sul Nanga Parbat, forse la più limpida impresa della sua carriera.

 

1980 - Reinhold Messner raggiunge la vetta dell'Everest, in solitaria e senza ossigeno lungo il severo e sconfinato versante Nord Ovest. (versante cinese).

È un’altra impresa leggendaria, che ricorda l'epopea di Hermann Buhl sul Nanga Parbat nel 1953.

 

1982 - Reinhold Messner, ormai invischiato nel mercato del rischio, che pretende da lui la salita di tutti gli Ottomila, mette nel carnet ben tre cime: il Kangchenjunga (con il generoso Friedl Mutschlechner), il Gasherbrum II e il Broad Peak.

 

1984 - Reinhold Messner con Hans Kammerlander per la prima volta nella storia dell’alpinismo, compie la prima attraversata in stile alpino di due ottomila dal Gasherbrum II - (80535 m.) e Gasherbrum I (o Hidden Peak – (8068 m.), senza scendere.

 

1985 - Reinhold Messner risponde all'invidia di chi lo vuole finito dietro la macchina del business con la prima salita, in compagnia del fedele Hans Kammerlander, della parete Nord Ovest dell' Annapurna, uno dei problemi himalayani sul tappeto.

 

1986 - 16 ottobre. Si conclude sul Lhotse per Reinhold Messner la sua "corsa" agli Ottomila, riportandone l'amarezza di un sogno trasformato in un affare.

 

L’attività extraeuropea non teme confronti: è il primo ad avere raggiunto la vetta di tutti i 14 ottomila della Terra, alcuni dei quali due volte.

 

A queste, si devono aggiungere altre ascensioni himalayane: il Manaslu, l’Hidden Peak e i tentativi falliti al Makalu e al Lhotse.

Ha compiuto scalate nelle Ande Peruviane, nelle Ande Argentine (nuova via diretta, in solitaria, sulla Sud dell’Aconcagua), in Nuova Guinea, in Africa, in Hindukush.

Ma l’aspetto probabilmente più importante nell’attività di Reinhold Messner alla fine degli anni Ottanta è la sua adesione ai movimenti ambientalisti.

Messner non perde occasione per battersi con grande coerenza contro ogni forma di aggressione alla montagna ed è tra i fondatori di Mountain Wilderness al cui sviluppo dà impulso mettendo generosamente in gioco la sua immagine: come quando si appende ai cavi della funivia che attraversa la Vallée Blanche, nel Monte Bianco, per sollecitare la nascita di un parco del Monte Bianco.

Anche la sua attraversata dell’Antartide assieme al tedesco Arved Fuchs, nel 1989, si accompagna a una serie di appelli per la tutela di questo continente oggi esposto a ogni genere di aggressione.

Significativa è la dedica che rivolge a sua figlia nel libro”Antartide inferno e paradiso”, dove riversa il significato di questa sua esperienza estrema: “Per Magdalena, perché l’Antartide si conservi  per lei come l’hanno vissuta Shackleton, Scott e Amundsen”.

La montagna”, ama ripetere, “non sopporta più l’aggressione degli uomini; di questo passo l’Everest sarà affollato come un Belvedere alla domenica”. Parole profetiche. Nel maggio del 1992 diciotto alpinisti di varie nazionalità hanno “affollato” il tetto del mondo.

Alla tutela della natura, ha sempre tenuto fede con coerenza: non ha mai piantato un chiodo a espansione nel fianco di una montagna, ha scalato l’Everest senza bombole di ossigeno, ha attraversato l’ Antartide trainando da solo la sua slitta.

Nella sue avventure non c’è desiderio di conquista, un termine che Reinhold Messner rifiuta. “Non c’è più niente da conquistare in questa terra. Io mi limito a cercare l’infinito per capire l’infinito”, conclude con una di quelle espressioni suggestive che fanno di lui una persona di grande fascino, un uomo con una marcia in più anche quando è a tu per tu con la gente.

 

Questa, in sintesi,la straordinaria attività di Messner negli ultimi dieci anni di impegno alpinistico. In seguito i suoi orizzonti si sono allargati ai ghiacci dell' Antartide e della Groenlandia, con due traversate in stile "pulito" che gli hanno procurato nuove e intense soddisfa­zioni. Ma sarebbe ridicolo ridurre la sua figura a un arido elenco di exploit, anche se si tratta di realizzazioni di valore assoluto: è innanzitutto il ruolo pubblico, infatti, che nel bene e nel male farà probabilmente dell' uomo di Funes l'ultimo prim'attore della storia dell'alpinismo. È curioso, perché era stato proprio Messner, sulla scia del

Sessantotto, a contestare aspramente la figura dell' eroe, sostituendo con un foulard la bandiera in cima alle montagne. In seguito, è stato lui a ridimensionare implacabilmente i mostri sacri, scoprendone i punti deboli e le contraddizioni, denunciando la retorica e l'ipocrisia della "lotta con l'Alpe''. È stato ancora lui, infine, a mettere in piazza se stesso, scoprendo un po' istrionicamente le proprie nevrosi, affermando con forza l'inutilità sociale di ogni prestazione alpinistica. Però Messner è stato anche l'ultimo, forse il solo alpinista, che abbia saputo parlare alle masse, perfezionando nel tempo un talento da grande comunicatore e sfruttando spregiudicatamente le opportunità dello sport-business. Un protagonista assoluto: acuto, cari­smatico, ingombrante, capriccioso, contraddittorio. Una star applaudita dalla gente comune e dileggiata dagli altri alpinisti. Un sano pervertitore delle leggi iniziatiche della montagna. Un uomo contro, anche se perfettamente inserito nella macchina consumistica dello spettacolo. Un distruttore di miti. L'ultimo mito.

 

IMPRESE ALPINISTICHE di Reinhold Messner

1950-64

500 ascensioni nelle alpi orientali, soprattutto nelle Dolomiti;

1965

Ortles, parete Nord, 1a ascensione;

1966

Cassin alla Walker, Grandes Jorasses; Rocch. Alta di Bosconero, parete nord, 2a ascensione;

1967

Civetta “via degli amici”, 1a ascensione; Furchetta, parete Nord, 1a ascensione invernale;

1968

Eiger, pilastro Nord, 1a ascensione; Marmolada, parete Sud, 1a ascensione;

1969

Civetta “diedro Philipp”, 1a solitaria; Droites, parete Nord, 1a solitaria; Marmolada di Rocca, parete Sud, 1a solitaria;

1970

Nanga Parbat (8125 m.), 1a ascensione della parete Rupal;

1971

spedizioni in Persia, Nepal, Nuova Guinea, Pakistan, Africa orientale;

1972

Manaslu (8156m.), 1a ascensione della parete Sud; Noshaq/Hindukush (7492 m.);

1973

tre prime nelle Dolomiti (Pelmo, parete Nordovest; Marmolada, spigolo Ovest; Furchetta, parete Ovest);

1974

Aconcagua (6959 m.), 1a ascensione della parete Sud; Eiger, parete Nord in cordata in 10 ore;

1975

Hidden Peak (8068 m.), parete Nordovest in cordata, primo ottomila in stile alpino;

1976

Mount McKinley, 1a ascensione „sole di mezzanotte“ (6193 m.);

1977

fallito alla parete Sud del Dhaulagiri (8167 m.);

1978

Mount Everest (8846 m.), 1a ascensione senza maschera d’ossigeno; Nanga Parbat (8125 m.), parete Diamir, prima solitaria su un ottomila; Kilimandscharo (5963 m.), 1a ascensione del „Breach-Wall“;

1979

K2 (8611 m.), ascensione in stile alpino; salvataggio di Peter Hillary all’Ama Dablam;

1980

Mount Everest (8846 m.) dal Tibet, 1a solitaria;

1981

Shisha Pangma (8012 m.); Chamlang (7317 m.);

1982

Kangchendzönga (8598 m.), parete Nord; Gasherbrum II (8035 m.); Broad Peak (8048 m.) -                 

3 ottomila di seguito; tentativo invernale al Cho Oyu;

1983

Cho Oyu (8222 m.), parete Sudovest, stile alpino;

1984

prima traversata di due ottomila - Gasherbrum I e Gasherbrum II;

1985

Annapurna (8091 m.), parete Nordovest, 1a ascensione; Dhaulagiri (8167 m.), sperone Nordest, stile alpino; Tibet-trasversale (Kailash);

1986

Fallito Makalu in inverno; spedizione nel Tibet; Makalu (8485 m.); Lhotse (8511 m.); Mount Vinson/Antartide (4897 m.);

1987

viaggio nel Bhutan; viaggio nel Pamir;

1988

spedizione nel Tibet (studio dello Yeti);

1989

fallito tentativo alla parete Sud del Lhotse (8511 m.);

1989/90

traversata dell’Antartide, attraverso il Polo Sud, a piedi (2800 km.);

1991

traversata del Bhutan; „Attorno al Sudtirolo“ (dislivello: 100.000 m.);

1992

Chimborazo (6310 m.) in Ecuador; traversata del deserto Takla Makan, Sinkiang;

1993

Dolpo, Mustang e Manang in Nepal; traversata longitudinale (in diagonale) della Groenlandia da sudest a nordovest (2200 km.);

1995

tentativo attraversata Polo Nord, fallito;

1996

spedizione nel Tibet;

1997

Tibet e Baltistan; Ol Doinyo Lengai in Tanzania;

1998

1999

attraversata della Mongolia; spedizione nella Puna de Atacama (Ande boliviane);

San-Francisco-Peaks/USA (reportage cinematografico); viaggio nel deserto Thar/India;

2000

 

2001

2002

 

2003

Traversata della South Georgia sulle ombre di Shackleton; spedizione sul Nanga Parbat; Fujiama/Giappone (reportage cinematografico);

Dharamsala + deramazioni dell’Himalaya; Gunung Agung/Bali (reportage cinematografico);

Nell’Anno Internazionale delle Montagne visita di popoli di montagna dell’Ecuador e ascensione del Cotopaxi (5897m);

partecipazione ai 50esimi anniversari delle prime ascese sull’Everest e sul Nanga Parbat; viaggio in Franz Joseph Land/Artico;