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Tita Piaz (Giovanni Battista) (1879 – 1948)

 

 

Tita Piaz. Ladino di Pera, in Val di Fassa, nato nel 1879, ebbe una vita molto movimentata. Sarebbe dovuto diventare insegnante elementare: abbandonò invece la scuola e cominciò molto presto ad arrampicare sul versante meridionale del gruppo del Catinaccio, nelle Dolomiti: lavorava come guida alpina e viaggiava. Compì un solitaria nel 1900 la prima scalata della Punta Emma, considerata allora la più difficile in assoluto. Questo Tita Piaz capace di arrampicare con l’agilità di un gatto era una testa calda, un anarchico, non di rado un esagitato. La tecnica di opposizione viene detta in gergo alpinistico «alla Piaz»: l’espressione «alla Dülfer», molta diffusa, è invece un falso storico. Piaz era in stretti rapporti di amicizia sia con Dülfer che con Preuss, e voleva bene ad entrambi.

 

Tita Piaz. Per le sue imprese e per il suo carattere fu chiamato “il Diavolo delle Dolomiti”.

Il suo regno è il Catinaccio e soprattutto le Torri di Vaiolet: le salì da ogni versante, in ogni stagione, di giorno e nelle notti di luna piena. Magnifica fu nel 1900 la salita solitaria della parete Nord-Est della Punta Emma (una cima che si erge di fronte al Rifugio Vaiolet a cui Piaz diede il nome della cameriera del rifugio stesso), tutta di IV grado.

Le difficoltà da lui vinte senza l’uso di mezzi artificiali segnarono per alcuni anni un limite estremo.

Fedele ai suoi principi, Piaz non usò i chiodi se non per assicurazione, ma non sdegnò i nuovi concetti dell’alpinismo sportivo. La stagione alpinistica di Piaz fu lunghissima: arrampicò ininterrottamente da 1897 al 1947. Morì nel 1948 cadendo dalla bicicletta.

 

Tita Piaz è, prima di tutto, un montanaro intelligente, istruito, aperto a tutti i problemi del suo tempo, sacrilegamente ribelle, patriota, geniale, pazzamente innamorato delle sue montagne, insofferente di gerarchie sociali, aspro e indisponente a volte, generoso fino all’eroismo.

Con una simile guida, che si ribella a considerare il rapporto professionale in termini di servilismo, i “signori” si sentono ridimensionati.

In realtà le vie di Piaz sono “vie Piaz e basta.

Il livello tecnico delle sue imprese è all’altezza dei massimi del tempo; egli è il maggior rivale di Dibona e ciò è tutto dire. In più la sua carriera proseguirà anche in età avanzata, quando le nuove tecniche e l’inesorabile trascorrere degli anni vorrebbero, secondo la logica, confinarlo nel museo”.

(Piero Rossi, in I cento anni del Club alpino Italiano).

 

Questo è il ritratto che Piero Rossi fa di Tita Piaz.

Certamente era un uomo straordinario, con un magnifico senso di insofferenza per ogni imposizione che venisse dall’alto.

Il suo genuino e simpatico spirito anarchico si rivela in ogni suo atteggiamento e creò una lunga serie di aneddoti che poi, come sempre, contribuirono a creare la “leggenda” Piaz.

Si dice che obbligasse i clienti a fare le corde doppie dalle finestre del rifugio, oppure si racconta che un giorno Piaz portò un sacerdote in vetta ad una delle sue amatissime cime del Catinaccio; giunti in vetta, il tempo volgeva al brutto, tanto che Piaz disse: “Se vuol scendere di qui è meglio che si raccomandi l’anima non a Dio ma a Tita Piaz!” Evidentemente il sacerdote non fu molto entusiasta e si venne ad un diverbio. Piaz allora abbandonò quel poveretto sulla cima per almeno un quarto d’ora, dicendogli che sarebbe andato a riprenderlo solo quando avesse raccomandato la sua anima a Tita Piaz…! Non si sa esattamente quanto vi sia di vero in questi aneddoti, ma si sa che le donne della Val di Fassa si facevano il segno della croce quando vedevano il Tita e si sa anche che i gendarmi di ogni regime sotto il quale Piaz visse, lo tenevano costantemente d’occhio. Non per nulla Piaz diceva sempre di aver conosciuto le galere di ben tre regimi. Comunque, la sua carica umana era eccezionale e chiunque lo avesse conosciuto, al di là del suo aspetto ruvido e piuttosto brusco, ne scopriva una sensibilità ed un calore umano che rendevano indelebile il ricordo di quell’ incontro.

L’importanza di Piaz dal punto di vista alpinistico è fondamentale in quel periodo di inizio Novecento: accanto alla notevole attività svolta con i clienti, Piaz fu una delle poche guide a condurre per proprio conto un’attività alpinistica assai sostenuta, dimostrando che la passione e la sete d’avventura erano certamente superiori agli interessi di lavoro.

Dopo di lui, sulle Dolomiti come nelle Alpi Occidentali, il suo esempio avrà sempre più seguito e non saranno poche le guide che svolgeranno un’attività di primissimo piano disgiunta dalla loro professione. Va a merito di Piaz l’aver elaborato anche alcune manovre per la discesa in corda doppia(che però molti attribuirono a Dulfer).

 

Il regno di Piaz è il Catinaccio e soprattutto le Torri di Vaiolet: le salì da ogni versante, in ogni stagione, di giorno e nelle notti di luna piena.

 

Come Dibona anche Piaz andò a “giocare fuori casa” ed aprì una via nuova sulla temibile parete Ovest del Totenkirchl (Kaisergebirge), oggi una classica arrampicata sui livelli del IV° grado.

 

Di difficoltà ben diversa è la via scoperta invece sul Campanile Toro, dove Tita Piaz si portò verso i limiti dell’arrampicata libera, superando certamente il V° grado ed il V° grado superiore.

 

Comunque le vie aperte da Tita Piaz sulle Dolomiti sono numerosissime e spaziano su diversi gruppi, dal Catinaccio, al Brenta, al Sella, alle Tre Cime di Lavaredo.

 

Tita Piaz arrampicò fino a cinquant’anni ed anche in età matura realizzò imprese di tutto rispetto, affinandosi anche nella tecnica dei chiodi e dei moschettoni che gli austriaci avevano portato nelle Dolomiti.

 

Memorabili furono le polemiche e le discussioni su questi temi, soprattutto con l’alpinista Hans Steger, che in quel periodo aveva svolto una grande attività nelle Dolomiti, ma che, pare, avesse il “martello un po’ facile”; ossia, ripetendo itinerari aperti dai primi salitori senza alcun chiodo, si aiutava invece con diversi e svariati aggeggi di quel genere, suscitando naturalmente le ire di coloro che erano passati in arrampicata libera.

 

Per ironia della sorte, Tita Piaz morì a causa di un banale incidente cadendo da una bicicletta senza freni.

 

1900 - Magnifica fu nel  la salita solitaria della parete Nord-est della Punta Emma (una cima che si erge di fronte al rifugio Vaiolet a cui Piaz diede il nome della cameriera del rifugio stesso), tutta di IV grado, un impresa degna di un Winkler, anche se la modestia di Piaz la mise sempre in secondo piano rispetto all’epica scalata del giovane austriaco.

 

1902 – 26 settembre. Tita Piaz con Franz Wenter conquistano la 1° salita italiana del Campanile Basso di Brenta. E così si espresse Piaz nel suo libro Mezzo secolo di alpinismo: “La scalata ci impressionò davvero per la sua eccezionale esposizione, poiché in quei tempi pareti libere di quel genere non erano ancora state fatte; ma ciò nonostante raggiungemmo la vetta in un tempo più breve di tutti i nostri predecessori. La vostra vittoria ci sembrò assai grande e trovammo che per difficoltà la guglia era di molto superiore alle Torri del Vajolet”. - Catena degli Sfulmini - Gruppo di Brenta - Dolomiti di Brenta.

 

1906 - Tipica manifestazione del suo carattere, insofferente di ogni regola e di ogni costrizione, fu la salita della Guglia De Amicis, realizzata ricorrendo ad ingegnosi lanci di corda, che gli permisero di compiere poi una traversata aerea, sospeso ad una corda tesa tra la vetta della guglia stessa ed un’altra torre che le stava di fronte. Naturalmente la salita fece scandalo negli ambienti puristi.

 

1911 - Tita Piaz sale l’elegante ed affilato Spigolo Sudovest della Torre Delago, scalato con Irma Glaser e Francesco Jori, certamente la via più conosciuta e ripetuta di Tita Piaz. Malgrado l’aspetto vertiginoso, l’arrampicata, elegante ed espostissime, si mantiene nel terzo e quarto grado.

 

1911 - 28 luglio. Giovanni Battista Piaz (Tita) e M. Michelson salgono la Cima Tosa per la Parete Nord-est che poi prenderà il nome di (via Piaz). Dato i gravi pericoli obiettivi a cui si trovarono esposti durante la scalata, I primi salitori non diedero alcuna relazione dettagliata dell'itinerario seguito, limitandosi a sconsigliarne la ripetizione. - Massiccio della TosaGruppo di Brenta - Dolomiti di Brenta.

 

1911 - 29 luglio. La via più alpinistica del Croz del Rifugio è quella tracciata da Giovanni Batista (Tita) Piaz per il gran camino della parete Nord-est – (per il camino Piaz) Tale camino, secondo Adolf Deye, era già stato salito in precedenza da Franz Wenter. L'itinerario è interessante e alpinisticamente il più importante del Croz del Rifugio. Si svolge in quel profondo camino che incide verticalmente tutta la gialla parete Nord-est e scendente dall'intaglio tra la cima principale e l'anticima. Altezza circa 200 m. Difficoltà: IV. Questa via è più interessante se completata con la Variante diretta di E. Pontalti e G. Zanolli. - Sottogruppo del Monte Daino. – Gruppo di Brenta - Dolomiti di Brenta.

 

1933 - estate. Alberto I°, Re del Belgio, Aldo Bonacossa, Hans Steger e Paula Wiesinger salirono per la parete Sud della Punta Occidentale delle Punte di Campiglio con un itinerario vario e interessante, che si svolge nel mezzo della bella parete che fronteggia il Rifugio Brentei. Dislivello 550 m. Difficoltà: IV° grado. - Massiccio di Cima Brenta - Gruppo di Brenta - Dolomiti di Brenta.

Re Alberto I° del Belgio al ritorno, a Passo Pordoi, fa la conoscenza di Tita Piaz, ed informato della sua grande esperienza, gli chiede di unirsi alla comitiva. Il “Diavolo delle Dolomiti” (pseudonimo avuto perché in valle si raccontava avesse venduto l’anima al Diavolo per fare ciò che riusciva a fare) accetta, anche se un po’ ritroso.

L’indomani sale con la compagnia al Sass Pordoi per la parete Sud. Al termine della scalata Tita Piaz non può fare a meno di professare la sua simpatia per la repubblica e denigrare gli istituti monarchici. Re Alberto I° del Belgio, senza scomporsi, gli risponde gentilmente che rispetta le sue idee, e gli dimostra come le pesanti responsabilità di un Re gli rendano la vita meno facile rispetto ad un Presidente Repubblicano. Tita Piaz è colpito dalla dignità del re e si rabbonisce: alla fine una forte stretta di mano suggella una nuova amicizia. Alla morte di Alberto I°, Re del Belgio, Tita Piaz gli dedicherà il suo rifugio ai piedi delle Torri del Vajolet.

 

1949 – Viene mandato alle stampe il libro postumo di “Tita PiazA tu per tu con le crode”,