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L'Eiger visto da Kleine Scheidegg

 

Eiger – (Eigerwand) 3970 m.

(Oberland Bernese)

Alpi Bernesi

(Alpi Svizzere)

Gruppo Jungfrau

 

Grindelwald, il villaggio dell’Eiger nell’Oberland Bernese, si trova in una deliziosa e verdeggiante conca valliva, circondata da un imponente scenario montano con la parete Nord dell’Eiger e il Wetterhorn. Grazie a questo paesaggio e agli innumerevoli punti panoramici, Grindelwald è diventato una delle mete di vacanze ed escursioni più apprezzate e più cosmopolite della Svizzera e la più grande stazione sciistica della regione della Jungfrau.

L’Eiger si trova nelle Alpi Bernesi, in prossimità della località di Grindelwald. La cresta principale (Sperone Mittellegi), che sale in direzione Ovest-Sudovest, raggiunge la vetta per piegare verso Sud, scendendo ad un colle che separa l'Eiger dal vicino Mönch; dalla vetta del Mönch la cresta scende al passo dello Jungfraujoch, punto di arrivo della Jungfraubahn. Dalla vetta dell'Eiger si dipartono due creste secondarie: una scende in direzione ovest verso il colle del Kleine Scheidegg, l'altra digrada verso Sud-ovest.

Tutte le facce della montagna sono assai scoscese. La via normale si sviluppa sul versante occidentale.

La montagna è attraversata dal tunnel della ferrovia Jungfraubahn, che unisce il Kleine Scheidegg allo Jungfraujoch. Si tratta di una ferrovia a scartamento ridotto con alimentazione a corrente trifase, attiva dal 1898. La ferrovia ha due stazioni intermedie in galleria all'interno dell'Eiger, la Eigerwand e la Eismeer, che rappresentano due punti panoramici rispettivamente sulla parete Nord dell'Eiger e sul ghiacciaio di Grindelwald (Grindelwaldgletscher). La stazione di partenza a Kleine Scheidegg offre un'ottima visuale della parete Nord dell'Eiger, e permette quindi di seguire (con l'ausilio di cannocchiali e binocoli) le cordate che ne tentano la salita.

La terribile parete Nord dell’Eiger.

La parete Nord dell’Eiger (Oberland Bernese) non è certo bella e nemmeno offre agli alpinisti un’arrampicata entusiasmante e divertente. Quando si giunge ai verdissimi pascoli della Scheidegg che salgono fino a lambire la base della parete, essa non appare così smisurata e terribile come è in realtà.

Alta circa 1600 metri, di roccia calcarea piuttosto mediocre, caratterizzata da grandi nevai pensili, la parete Nord dell’Eiger fu l’assillo degli alpinisti austriaci e tedeschi durante il periodo che precedette il secondo conflitto mondiale.

D’altronde era una parete che bene si adattava al loro spirito romantico che ormai aveva varcato le soglie del decadentismo, contaminato anche dalla propaganda nazionalista.

La storia della conquista della parete Nord dell’Eiger è certamente interessante e può essere utile per comprendere più a fondo la situazione in cui l’alpinismo versava prima della guerra.

D’altronde l’alpinismo rispecchiava chiaramente la situazione stessa, storica e politica, dei vari Paesi che ormai andavano preparandosi allo scontro.

Chi si lascia impressionare dagli aspetti tragici e funesti che sono legati alla storia di questa parete, evidentemente è fuori strada, in quanto la sua emotività non gli permette di analizzare lucidamente le cause ed i motivi dell’agire umano in questa determinata situazione.

Gli assalti alla Nord dell’Eiger furono condotti con una violenza ed una aggressività veramente inconsueta, caratteristica di un alpinismo che ormai cercava ad ogni costo un’affermazione ed una vittoria su se stessi e sulla natura.

Probabilmente le tensioni accumulate durante i duri anni vissuti nei regimi dittatoriali, avevano causato delle repressioni assai potenti, che ora cercavano sfogo e liberazione nell’azione alpinistica violenta ed aggressiva, diretta contro la montagna.

Ed è inutile dire che quando l’uomo scarica la sua aggressività contro la Natura, ha tutto da perdere (soprattutto la vita) e nulla da guadagnare.

Dunque la Nord dell’Eiger per molti alpinisti rappresenterà l’ostacolo da abbattere, il nemico da vincere, il drago da uccidere. Dopo penserà la guerra, con i suoi lutti e le sue distruzioni, a placare i bollori e a liberare l’energia distruttiva catalizzata da alcuni popoli incatenati dalla morsa dittatoriale e frustrati nella loro libertà.

I tentativi e la lotta che si svolge sulla Nord dell’Eiger sono come un campanello d’allarme, un preavviso, un anticipo di ciò che accadrà in seguito.

Salire la Nord dell’Eiger non fu un divertimento per nessuno, anzi per tutti coloro che l’hanno salita, salvo casi eccezionali, si è trattato di un esperienza da non ripetere.

Eppure, stranamente l’uomo a volte si sente terribilmente attratto dal rischio, dal pericolo, diciamo pure apertamente dalla prospettiva della morte. In ciò non vi è nulla di scandaloso o di riprovevole, è semplicemente un dato di fatto, come è un dato di fatto la guerra, per quanto orribile essa sia e possa apparire. Ma è una realtà.

E’ quindi inutile chiedersi perché certi alpinisti amino salite come la Nord dell’Eiger.

Perché amino arrampicare su roccia marcia, ghiacciata, sotto le cascate d’acqua, nei colatoi battuti dalle slavine, sotto la minaccia costante delle scariche di sassi, con la certezza che in caso di venuta del maltempo si è racchiusi in una trappola mortale.

Ma la Nord dell’Eiger in fin dei conti non è che un simbolo: nella vita, nel mondo, e non solo sulle Alpi, ma in mille altre cose di ogni giorno, ci sono milioni di Nord dell’Eiger su cui ciascuno si impegna forse senza nemmeno sapere perché, convinto che al termine della parete vi sia la vetta tanto sognata.

Passeremo quindi assai rapidamente sulla lunga serie di tentativi, per la narrazione dei quali sono stati versati non fiumi, ma veri e propri mari di inchiostro non solo dai diretti protagonisti, ma anche da giornalisti e scrittori che dell’alpinismo nulla sanno, sollecitati dalla prospettiva di vendere assai bene il loro “prodotto tragico”.

 

Le prime ascensioni

La prima salita dell'Eiger fu effettuata l'11 agosto 1858 dall'alpinista irlandese Charles Barrington con le guide Christian Almer e Peter Bohren; la squadra seguì quella che è oggi la via normale sul versante occidentale.

 

Il 14 luglio 1871 vi fu la prima salita dello Sperone Sud-Ovest, da parte di William Auguste Coolidge e Meta Brevoort, con le guide Christian Bohren, Christian Almer e Ulrich Almer.

 

Il 31 luglio 1876 George Edward Foster con le guide Hans Baumann ed Ulrich Rubi raggiunge la vetta passando per lo Sperone Sud, dopo aver raggiunto il Colle Eigerjoch risalendo il Ghiacciaio Eiger.

 

Nel 1890 ebbe luogo la Prima salita invernale, effettuata da Mead e Woodroffe, con le guide Ulrich Kaufmann e Christian Jossi.

 

Lo Sperone Mittellegi Cresta Nord-Est dell'Eiger fu salito per la prima volta il 10 settembre 1921 da Fritz Amatter, Samuel Brawand, Yuko Maki e Fritz Steuri.

 

Nel 1924 vi fu la prima salita scialpinistica, effettuata salendo dal Ghiacciaio Eiger.

 

Nel 1932 Hans Lauper ed Alfred Zürcher con le guide Alexander Graven e Joseph Knubel aprirono la via Lauper sul versante Nord-Est dell’Eiger.

 

Il primo tentativo alla parete Nord dell’Eiger ebbe luogo nel 1934, da parte degli alpinisti tedeschi Willy Beck, Kurt Löwinger e Georg Löwinger. La cordata riuscì a salire fino ad una quota di 2.900 m, poi si ritirarono. - La parete Nord dell’Eiger rappresentò a lungo un problema alpinistico insolubile. Le grosse difficoltà della parete sono soprattutto di carattere ambientale: a causa della sua esposizione, infatti, presenta ampie zone di neve perenne e ghiacciai, ed è soggetta a numerose frane, distacchi e scariche di pietre, soprattutto nella stagione estiva, a causa del disgelo diurno di parte del ghiaccio.

Per questi motivi la parete fu evitata fino agli anni ’30 del XX secolo.

 

Nel 1935 la salita alla vetta della Nord dell’Eiger fu tentata da un'altra cordata tedesca, composta da Max Sedlmayr e Karl Mehringer. I due raggiunsero una quota di 3.300 m, ma furono sorpresi dal maltempo, che li bloccò in parete, dove morirono; il posto dove si fermarono è oggi noto come bivacco della morte.

 

Nel 1936 vi fu un ulteriore tentativo alla Nord dell’Eiger da parte di due cordate separate: i tedeschi Andreas Hinterstoisser e Toni Kurz, e gli austriaci Edi Rainer e Willy Angerer. Incontratesi in parete, le due cordate decisero di unire le forze nel tentativo. Andreas Hinterstoisser riuscì ad oltrepassare il passaggio chiave della via, un lungo traverso esposto che oggi porta il suo nome (traverso Hinterstoisser). Nelle fasi successive però Willy Angerer fu colpito alla testa da una scarica di pietre, rimanendone ferito; tentò comunque di proseguire. Al quarto giorno di salita, a causa delle cattive condizioni di Willy Angerer e del peggiorare del tempo, il gruppo decise di ritirarsi; non riuscendo però ad effettuare a ritroso il traverso Hinterstoisser, dovettero scendere per la via più diretta, molto esposta a valanghe e scariche. Quasi alla fine della discesa, il gruppo fu appunto travolto da una valanga: Willy Angerer, Edi Rainer ed Andreas Hinterstoisser morirono immediatamente, mentre Toni Kurz morì di sfinimento il giorno successivo, nonostante i tentativi di salvarlo da parte di un'apposita squadra di soccorso.

 

1937 - Ludwig Vorg con il grandissimo arrampicatore tedesco Mathias Rebitsch, tentano la parete Nord dell’Eiger e trovarono la chiave di risoluzione dell’intera parete, ma poi dovettero ritirarsi e furono uno dei pochi che se la cavarono senza alcun incidente, riuscendo a raggiungere la base dopo 100 ore di permanenza in parete.

 

1938 - I vicentini Bortolo Sandri e Mario Menti furono i primi a italiani a tentare di salire la parete Nord dell’Eiger il 23 giugno del 1938. Pur dimostrando audacia e ispirazione nell’affrontare una montagna così lontana e diversa dai picchi dolomitici a loro famigliari, il maltempo della Nord si era avventato su di loro rendendo ogni movimento tremendamente lento e difficile. Durante una manovra di corda doppia, una cascata di pietre si abbatte su di loro; Bortolo Sandri è colpito alla testa. Come uno schiaffo una scarica li investe e li strappa dalla parete; precipitano trovando la morte.

 

Nel 1938 diversi alpinisti pianificarono un tentativo alla Nord dell’Eiger: tra questi, vi erano anche gli alpinisti lecchesi del gruppo di Riccardo Cassin. Gli italiani furono però preceduti da una cordata mista austro-tedesca, composta dai tedeschi Ludwig Vorg ed Anderl Heckmair, e dagli austriaci Fritz Kasparek e Heinrich Harrer. Partiti come due cordate separate (prima Heinrich Harrer e Fritz Kasparek, poi Ludwig Vorg e Anderl Heckmair), i quattro si incontrarono in parete e decisero di unire le forze; il 24 luglio 1938, dopo tre giorni di salita, i quattro raggiunsero la vetta, superando per la prima volta la parete Nord dell’Eiger. L'evento fu molto amplificato dalla propaganda della Germania nazista, con i quattro alpinisti che vennero ricevuti da Adolf Hitler in un incontro ampiamente coperto dai media dell'epoca.

La prima ripetizione della via fu effettuata nel 1947 dai francesi Lionel Terray e Louis Lachenal, mentre la prima ripetizione in giornata (quindi senza bivacchi intermedi) fu effettuata nel 1950 dagli austriaci Leo Forstenlechner e Erich Wascak, che impiegarono 18 ore a superare la parete.

La tragedia del 1957

Nel 1957 vi fu un'altra tragedia che ebbe vasta risonanza mediatica. Gli alpinisti italiani Claudio Corti e Stefano Longhi effettuarono un tentativo alla nord dell'Eiger. Poco pratici della zona, sbagliarono l'attacco della via, e procedettero molto lentamente. Il terzo giorno furono raggiunti da una cordata tedesca partita il giorno stesso, composta da Franz Mayer e Gunther Nothdurft; le due cordate decisero di unire le forze e salire insieme. Il giorno seguente i tedeschi, avendo perso tutte le loro provviste, tentarono di salire direttamente alla vetta per poi ridiscendere in giornata, ma dovettero rallentare a causa di problemi di salute di Nothdurft, e le due cordate procedettero di conserva, continuando a salire, convinti che fosse la via più breve e sicura per rientrare alla base. Il tempo, nel frattempo, peggiorò. Il 10 agosto, ottavo giorno di permanenza degli italiani sulla parete, Longhi si ritrovò con le mani congelate, e non riuscì a proseguire; convinti di poter raggiungere la cima in giornata, per poi scendere ed attivare i soccorsi, gli altri tre compagni lo lasciarono su una cengia, con viveri ed attrezzatura da bivacco. Poco dopo, all'altezza del ghiacciaio del Ragno bianco, Corti fu colpito alla testa da una scarica di pietre e cadde per una ventina di metri: incapacitato a proseguire, fu lasciato su un'altra cengia, nella tenda da bivacco dei due tedeschi, i quali puntarono a raggiungere la vetta per poi discendere a valle a cercare aiuto. Nel frattempo, gli osservatori del rifugio del Kleine Scheidegg avevano seguito le vicende della cordata: la notizia si era diffusa, e si era radunata una squadra di soccorso composta da volontari di diverse nazioni, tra cui Riccardo Cassin e Lionel Terray. La squadra salì in vetta per la via normale, senza incontrare traccia dei tedeschi, che sembravano spariti nel nulla; armarono un complicato meccanismo di carrucole e cavi, con il quale, il giorno dopo, Alfred Hellepart fu in grado di raggiungere e salvare Claudio Corti. A causa del peggiorare delle condizioni del tempo, non fu però possibile salvare Stefano Longhi, che morì il giorno successivo; il suo corpo rimase sull'Eiger, appeso alle corde, per due anni, e fu recuperato solo nel 1959. I corpi di Nothdurft e Mayer furono ritrovati nel 1961, alla base della parete ovest. Claudio Corti ricevette molte critiche, e vi fu chi arrivò ad accusarlo di avere ucciso i due alpinisti tedeschi per impossessarsi della loro tenda (quest'accusa fu completamente cancellata dal successivo ritrovamento dei corpi dei due alpinisti). Particolarmente critico con Corti fu Heinrich Harrer, nel suo libro Parete Nord, pubblicato nel 1959.

Altri successi

Nel 1961 fu realizzata la prima salita invernale della parete nord: i salitori furono Toni Kinshofer, Anderl Mannhardt, Walter Almberger e Toni Hiebeler.

L'anno successivo (1962) vide la prima salita italiana, ad opera di Armando Aste, Pierlorenzo Acquistapace, Gildo Airoldi, Andrea Mellano, Romano Perego e Franco Solina.

Tra il 27 ed il 31 dicembre 1963 venne compiuta la prima discesa della parete nord (in precedenza, i salitori scendevano per la via normale), ad opera di tre guide svizzere, che nel corso dell'operazione recuperarono i corpi degli alpinisti spagnoli Ernesto Navarro e Alberto Rabadá, morti sul Ragno bianco il 15 agosto precedente.

Nell stesso anno 1963 la guida Michel Darbellay realizzò la prima salita in solitaria, impiegando circa 18 ore per completare la salita.

Nel 1964 l'alpinista tedesca Daisy Voog fu la prima donna a salire la parete nord dell'Eiger.

Nel 1992 la francese Catherine Destivelle realizzò la prima invernale femminile in solitaria, impiegando circa 17 ore a salire la parete.

Record di velocità

I primi salitori impiegarono 3 giorni a salire la parete, ma già nel 1950 Leo Forstenlechner ed Erich Wascak riuscirono a completare l'ascensione in giornata, impiegando circa 18 ore; lo stesso tempo verrà impiegato da Michel Darbellay nel 1963 per salire la parete in solitaria.

I tempi furono notevolmente accorciati da Peter Habeler e Reinhold Messner, che nel 1969 completarono l'ascensione della parete nord in 10 ore, tempo che ancor oggi è la miglior prestazione mai realizzata da un team in cordata classica.

Il record assoluto fu migliorato nel 1981 dalla guida svizzera Ueli Buhler, che salì la parete in 8 ore e mezzo; nel 1982 questo tempo fu ulteriormente migliorato dall'alpinista sloveno Franci Knez, che salì la parete in 6 ore. Nel 1983 l'austriaco Thomas Bubendorfer riuscì a salire la parete in 4 ore e 50 minuti. Pochi giorni dopo, l'altoatesino Reinhard Patscheider completò la salita in un tempo appena superiore (5 ore).

Questo record rimase imbattuto fino al 24 marzo 2003, quando Christoph Hainz riuscì a completare l'ascensione in appena 4 ore e 40 minuti.

Il 21 febbraio 2007 lo svizzero Ueli Steck infranse questo record, riuscendo a completare la salita del percorso classico del 1938 in 3 ore e 51 minuti.

Lo stesso Steck riuscì a migliorarsi ulteriormente il 13 febbraio 2008, salendo la stessa via in 2 ore, 47 minuti e 33 secondi. Per "stracciare" il suo precedente record del 2007 Steck ha perso 5 kg di peso ed è salito solo con 1 chiodo da ghiaccio, 2 moschettoni a ghiera, 2 moschettoni, 1 rinvio e una corda 7mm da 30m che gli ha consentito di alleggerire lo zaino di 3 kg.

La frana del 2006

Nel luglio del 2006 una frana di oltre 500.000 metri cubi di roccia si è staccata dalla parete est. Pur creando molto scompiglio ed una comprensibile preoccupazione, la frana non ha provocato danni a persone.

Sperone sud.

È la via più facile dopo la normale. Si sviluppa dal passo Eigerjoch lungo lo sperone meridionale, con una difficoltà complessiva valutata AD, con passaggi su roccia fino al III grado. I primi salitori raggiunsero l'Eigerjoch risalendo il ghiacciaio Eiger, ma questa via non è più praticabile, in quanto il ghiacciaio è estremamente crepacciato.

Parete nord - via classica del 1938.

Sulla parete nord si sviluppano diverse vie di diversa difficoltà. La meno difficile è ancora la via classica aperta dai primi salitori nel 1938. Si tratta di un itinerario che supera 1800 m di dislivello, con una difficoltà complessiva valutata in ED+: passaggi su roccia fino al V-, tratti di artificiale (A0), pendii ghiacciati fino a 60°. La salita richiede mediamente da 1 a 3 giorni, a seconda delle capacità dei salitori; in alcuni casi, può anche richiedere più tempo.

Base Jumping.  

I Base jumpers della Red Bull, Loïc Jean Albert, Julian Boulle e Ueli Gegenschatz, indossando una tuta alare, hanno affrontato il salto della parte nord dell'Eiger tutti e 3 insieme per la prima volta, planando in caduta libera per ben 19 secondi con una velocità media tra i 250 e i 350 km/h, e atterrando con l'apertura del paracadute. Nella stessa giornata hanno affrontato anche un Base jumping simile sulla Jungfrau.

L'Eiger nella cultura moderna.

Il romanzo Assassinio sull'Eiger è una storia d'azione/thriller basata su una scalata dell'Eiger. Nel 1975 Clint Eastwood diresse l'omonimo film con lui stesso come protagonista insieme a George Kennedy.

 

Ricorderemo quindi come sia stato Andreas Hinterstoisser a scoprire la traversata che dava accesso alla parete centrale della parete.

Ricorderemo anche come Max Sedlmayr e Karl Mehringer fossero giunti molto in alto, fino al cosiddetto “bivacco della morte”, da cui non dovevano più tornare.

Ricorderemo la tragica fine di Toni Kurz, morto di stenti a soli due metri dalla corda che gli avrebbe dato la salvezza, la morte di Bortolo Sandri e Mario Menti, gli unici italiani che tentarono di salire la parete.

Ricorderemo come Hitler sia giunto ad offrire una decorazione a chi avesse superato la parete.

Ricorderemo il tentativo del grandissimo arrampicatore tedesco Mathias Rebitsch, che con L. Vorg trovarono la chiave di risoluzione dell’intera parete, ma poi dovettero ritirarsi (1937) e furono uno dei pochi che se la cavarono senza alcun incidente, riuscendo a raggiungere la base dopo 100 ore di permanenza in parete.

 

1858 - 11 agosto. A metter piede per primo sulla vetta dell'Eiger fu, com'era consuetudine in quel periodo, un alpinista d'oltremanica, l'irlandese Charles Barrington.

Alla sua prima visita nelle Alpi, quindi ancora relativamente sconosciuto, Sir Charles Barrington scelse l'Oberland come « terreno di gioco.». Raggiunse l'abitato di Grindelwald e assoldò le due migliori guide del paese, Christian Almer e Peter Bohren, che negli anni successivi si distinsero per le loro imprese alpinistiche in tutto l'arco alpino. Insieme si spinsero oltre il Grindelwald Gletscher, traversarono sotto lo Schreckhorn e il Lauteraarhorn fino allo Strahleggletscher e al Grimselpass; di là scesero lungo la valle del Rodano e salirono fino all'hotel Eggishorn («hotel» erano chiamati anche i rifugi in alta quota) sopra l'abitato di Fiesch; dal rifugio rimontarono l'interminabile Aletschgletscher e raggiunsero la vetta della Jungfrau (4158 m), già allora il quattromila più salito dell'intero arco alpino.

Charles Barrington non era tuttavia soddisfatto; voleva in cuor suo un'autentica impresa prima di tornare in Irlanda. Scendendo dallo Jungfraujoch alla Kleine Scheidegg aveva osservato a lungo la parete Ovest dell'Eiger. Christian Almer era al suo fianco e gli aveva parlato delle sue scalate dell'anno precedente con un eminente alpinista viennese, il dottor Siegmund Porges; con quest'ultimo, Christian Almer aveva compiuto la prima salita del Mönch, lungo la Cresta Est; avevano anche tentato l'Eiger per la parete Ovest, ma erano stati respinti dalla ripida fascia di rocce che ne sbarra la parte mediana; fu naturale, per Charles Barrington, proporre alle due guide il suo nuovo obiettivo, la vetta dell'Eiger per il fianco occidentale.

Si accordarono per il tentativo, anche se Charles Barrington fu pesantemente apostrofato dai familiari di Christian Almer e Peter Bohren per aver convinto le due guide a intraprendere la rischiosa ascensione.

Il 10 agosto salirono all'hotel di Wengern Alp (1873 m), dove passarono la notte; l'11 agosto, alle tre e trenta del mattino, lasciarono il rifugio: portavano con sé un drappo colorato da issare sulla cima a mo' di bandiera per dimostrare l'avvenuta conquista della vetta. Allora si usava così. Al primo chiarore dell'alba, erano ai margini della morena, sotto il pendio di neve che sta alla base del versante Ovest.

L'irlandese sfoderò inaspettato fiuto alpinistico quando scelse di attaccare la ripida fascia di rocce sulla sinistra anziché piegare sul couloir di destra dove erano naufragati i due precedenti tentativi. Christian Almer e Peter Bohren lo guardarono salire dubbiosi ed esitanti; Charles Barrington dovette insistere e precederli per ben due volte fino a calar loro la corda per invitarli a salire.

Le due guide, scuotendo il capo, si risolsero a seguire l'imprudente sir Charles Barrington; riuniti nuovamente pensarono bene di segnare la via con del gesso e piccoli ometti di pietra.

I tre sfiorarono lo Spigolo Ovest, i primi uomini ad affacciarsi sul baratro della Nordwand. Raggiunsero la cresta affilata della vetta a mezzogiorno, vi restarono dieci minuti, disponendo il drappo a sventolare, legato a un alpenstock. Nel ritorno evitarono i salti di roccia superati in salita e scesero lungo un ripido cou1oir dove una valanga li mancò per un soffio.

Ai visitatori increduli che affollavano il Wengern Alp, Charles Barrington porse il suo cannocchiale.

Sulla vetta il drappo garriva al vento e lui venne acclamato vincitore. Entusiasmato dal successo, l'audace irlandese avrebbe volentieri tentato anche l'inviolato Matterhorn, il Cervino - come scrisse in una lettera al fratello - ma era a corto di denaro e fu costretto a tornare a casa, dove riprese a occuparsi dei suoi cavalli da corsa. Nelle Alpi svizzere sarebbe invece giunto il fratello Richard Barrington, che a sua volta salì l'Eiger, per la parete Ovest, nel 1876. A guidarlo in vetta era ancora Peter Bohren, il «lupo dei ghiacciai» della prima ascensione.

Oggi il Versante Ovest del’Eiger è la via normale, percorsa durante la prima ascensione del 1858, ed ancora oggi la più facile via di accesso alla vetta. Si sviluppa sul versante e sulla cresta occidentali, per un dislivello di 1650 m. La difficoltà è valutata in AD, con passaggi su roccia fino al III-, e diversi passaggi su ghiaccio. Il tempo di percorrenza è valutato in 6 ore per la salita e 3-4 ore per la discesa.

 

1921 - 10 settembre. - Nel 1921, l'avvocato giapponese Yuko Maki era venuto in Europa per salire alte montagne; gli avevano descritto la Mittellegi la Cresta Nord-Est all'Eiger come la cresta più lunga e aerea delle Alpi, una vertiginosa lama di falce che aveva già respinto numerose cordate: quella inglese dei fratelli Harley, che l'avevano tentata nel 1874, e poi nel 1885 quando aveva ricacciato un gruppo di guide con, alla testa nientemeno che Alexander Burgener - il più titolato fra le guide svizzere di allora. Altri tentativi erano falliti, quello dello scozzese Reginald John Somerled MacDonald e delle guide Christian Jossi e Peter Bernet nel 1894. Ancora nel 1904 la Mittellegi respingeva Franz Amatter, un'esperta guida di Grindelwald vincitore del Finsteraarhorn e ancora, nel luglio del 1921, il tedesco Hans Pfann, il primo a salire in vetta all'Uschba, nel Caucaso.

La tremenda esposizione aveva logorato le intenzioni di quei validi scalatori e una poderosa torre verticale, poco oltre la metà della cresta, aveva impedito ogni progressione.

Yuko Maki era determinato a legare il suo nome a quella cresta impossibile.

A Grindelwald assoldò l'esperto Fritz Amatter e gli affiancò altre due famose guide, Samuel Brawand, maestro di scuola, e Fritz Steuri, con il quale Yuko Maki aveva fatto numerose ascensioni nella zona di Zermatt.

I quattro prepararono la scalata nei minimi dettagli: trenta chiodi di quattro fogge diverse, cunei di legno, due corde da trenta metri e una da sessanta, il meglio dell'attrezzatura da bivacco di allora, comprensiva di fornello e di tre litri di alcol. La scorta di viveri comprendeva due dozzine di uova crude, un pollo arrosto, salsicce, biscotti, limoni, zucchero, pane, burro, marmellata e una bottiglia di brandy. Non portarono la tenda perché il filo della cresta non avrebbe concesso la minima piazzola; portarono invece un palo di sei metri con un gancio in ferro e tre punte orientabili per «arpionare» i muri della parete, altrimenti insuperabili. Insieme raggiunsero la base della Mittellegi e ne vinsero progressivamente le accecanti vertigini; a Samuel Brawand toccò una paurosa caduta, bloccata dalla corda dei compagni. Sotto la Grosser Turm si fermarono per un bivacco. L'indomani, riuscirono a superare il poderoso gendarme (della Grosser Turm) con l'aiuto del palo a tre punte. Fritz Amatter, capocordata, sentì il proprio zaino sfilarsi nella manovra e precipitare dentro le nubi sottostanti. Ma ormai la vetta era vicina. Yuko Maki e le guide raggiunsero le cornici sommitali il l0 settembre 1921, al tramonto. «Nessuno di noi gridò “Bravo!”, ci stringemmo semplicemente la mano.». In silenzio, Fritz Steuri scolpì la data su una pietra della vetta, “10.9.1921”, poi spezzò il lungo palo in due e all'estremità di un pezzo legò un fazzoletto. Fritz Amatter aveva eretto un tumulo di sassi e vi infilò l'asta a segnare il nostro arrivo in vetta.

Yuko Maki legò per sempre il suo nome all'Eiger quando, prima di tornare in Giappone, lasciò un assegno di diecimila franchi per la costruzione di una capanna sulla Mittellegi che facilitasse chi dopo di lui si sarebbe cimentato su quel vertiginoso filo di cresta. Lui stesso ritornò in Europa nel 1926 e andò a ripetere l'ascensione della «sua» cresta, in compagnia di Fritz Amatter.

Lo Sperone Mittellegi (Cresta Nord-Est) oggi viene normalmente divisa in due sezioni, pernottando al Bivacco Mittellegi; ha una difficoltà complessiva valutata in D, con passaggi su roccia di IV grado ed alcune corde fisse. Il tempo di percorrenza dal bivacco alla vetta è di 4-8 ore.

L'avvocato avrebbe continuato la sua attività alpinistica fino a dirigere, nel 1956, la squadra giapponese che compì la prima ascensione del Manaslu (8163 m) nell'Himalaya nepalese.

Il suo libro Sanko (L'andare in montagna) narra estensivamente la conquista della Cresta Nord-Est all'Eiger; popolarissimo in Giappone, il libro sigillò il legame, del tutto particolare, venuto a saldarsi tra la montagna e le isole del Sol Levante.

Attratti dalla fama dell'Eiger, i giapponesi affluivano in gran numero a Grindelwald negli anni fra le due guerre; per molti giovani dell'alta società nipponica che studiavano nelle università di Francia, Germania e Inghilterra visitare Grindelwald e farsi almeno fotografare con lo sfondo dell'Eiger era una sorta di pellegrinaggio iniziatico; arrivarono in quegli anni anche il secondo figlio dell'imperatore con la principessa consorte. Interrotto solo negli anni della Seconda guerra mondiale, il fenomeno riprese qualche anno dopo la fine del conflitto. Oggi e ogni anno in misura crescente, alpinisti ma anche schiere di semplici turisti giapponesi, inseriscono d'obbligo l'Oberland nel loro tour europeo; l'Eiger e la sua Nordwand ne sono una tappa irrinunciabile, e del mezzo milione di turisti che ogni anno prendono il trenino della Jungfrau ben centomila sono giapponesi. Molti di loro vi arrivano con il volo Tokyo - Zurigo, che atterra alle sette del mattino. Un pullman, dall'aeroporto, li porta a Grindelwald, da dove raggiungono, con il trenino, lo Jungfraujoch. Pranzano, inviano cartoline, ridiscendono per raggiungere Berna e successivamente Losanna, in tempo per salire sul TGV diretto a Parigi.

1932 - 20 agosto. Il medico svizzero Hans Lauper con il compagno Alfred Zürcher e le guide Alexander Graven e Joseph Knubel compirono un'impresa storica, destinata ad accendere i riflettori sulla parete dell’Eiger e a incitare gli animi dei suoi pretendenti. Hans Lauper e compagni superarono gli scivoli di ghiaccio e le rocce della parete Nord-Est, un appicco di 1700 metri di dislivello con pendenze continue fino ai 55° e difficoltà fino al quinto grado. Vi sono passaggi anche di arrampicata artificiale (A0). Si tratta di una via mista su roccia e ghiaccio, con difficoltà complessiva ED. Giunsero in vetta all'Eiger, con un'arditissima via nuova che chiameranno via Lauper. Con questa storica impresa, allora alle soglie dell'impossibile, gli svizzeri si riappropriarono simbolicamente della loro montagna e sulla Nordwand calò il sipario. Ma fu solo un breve intervallo.

 

1935 – 21/25 agosto. Max Sedlmayr e Karl Mehringer, abili scalatori, abituati a preparare con meticolosa cura le loro ascensioni, rappresentanti dell’élite degli alpinisti tedeschi.

Alle due del mattino del 21 agosto 1935, cominciarono l'attacco alla montagna per la via considerata più diretta, sulla parete Nord dell’Eiger che taglia la parte mediana sulla verticale calata dalla vetta. Al sorgere del giorno, i turisti che osservavano la parete col binocolo dalla Kleine Scheidegg, avvistarono gli scalatori e notarono che si arrampicavano con perfetto stile. Al sopravvenire della notte, quel primo giorno, i due tedeschi avevano raggiunto un punto a quota 2600, dopo aver risolto tutta una serie di passaggi su rocce di calcare levigato. Il giorno successivo si trovarono dinanzi un salto di roccia nuda che si ergeva verticalmente per un centinaio di metri.

Mentre riprendevano faticosamente a salire, la montagna scatenò la sua artiglieria, e gli osservatori li videro ripararsi più e più volte la testa e le mani con i sacchi da montagna, mentre le pietre micidiali precipitavano fischiando intorno ad essi. Quel secondo giorno superarono il primo grande nevaio, ma ormai cominciavano a dar segni di stanchezza. Il terzo giorno continuarono a salire, ma con snervante lentezza, fermandosi ogni momento per difendersi dalle pietre che precipitavano. Quella notte il tempo cambiò improvvisamente, cosa usuale sull'Eiger, e gli scalatori scomparvero alla vista, avvolti nell'uragano.

Fu soltanto a mezzogiorno del quarto giorno che la nebbia finalmente si diradò scoprendo la parete. Miracolosamente, Max Sedlmayr e Karl Mehringer erano ancora lì: stavano lentamente attraversando un altro nevaio. Ma era chiaro ormai, almeno per gli alpinisti esperti se non per i turisti che si affollavano curiosi davanti ai binocoli, che erano troppo esausti per raggiungere la vetta e anche per calarsi giù dai levigati dirupi scintillanti di vetrato. Un altro uragano imperversò quella notte e ogni segno di vita scomparve sullo strapiombo.

Il quinto giorno di scalata, la Nordwand si scopre, imbiancata di neve e serrata dal ghiacciaio; dalla Scheidegg i cannocchiali frugano la parete, e Max Sedlmayr e Karl Mehringer vengono individuati! Sono vivi! Si muovono: lentamente, ma si muovono e salgono, sono sul Terzo ripidissimo Nevaio e poi piegano verso la lama di uno sperone ghiacciato, il Ferro da Stiro.

Una folata di nebbia si impiglia sul Ferro da Stiro e li avvolge; sul loro quinto bivacco cala una notte di bufera. Alla Scheidegg si smette di sperare.

Quando nuovamente la parete si libera, per Max Sedlmayr e Karl Mehringer non c’è più nulla da fare; ogni soccorso è impossibile; il gelo e lo sfinimento li hanno inchiodati al loro quinto bivacco.

Da allora, questo terrazzino - per amara ironia uno dei posti di bivacco più comodi dell’intera parete - si chiamerà, per scarsa ispirazione e brutale realismo, «bivacco della morte.».

Alcune settimane dopo, l'aviatore Ernst Udet, asso tedesco della prima guerra mondiale, fece un volo di ricognizione lungo la Nord dell'Eiger per cercare di localizzare i corpi dei suoi concittadini. Rasentò temerariamente la montagna, sbattuto da traditrici correnti d'aria, e scorse la sagoma di un corpo in posizione eretta, imprigionato dal ghiaccio contro la roccia. I due scalatori erano morti in piedi nell'ultimo bivacco. Finirono così per il 1935 i tentativi sulla parete Nord dell'Eiger.

 

1936 - 18/22 luglio. Edi Rainer e Willy Angerer austriaci di Innsbruck; Andreas Hinterstoisser e Toni Kurz bavaresi di Berchtesgaden, tutti al di sotto dei 30 anni. Sono alpinisti fortissimi, hanno tutto per riuscire a salire la parete Nord dell’Eiger, ma vengono stroncati da vicende che non riescono a dominare, ma che affrontano con cameratismo e grande determinazione fino all’estrema conseguenza. Le due cordate sono al corrente della reciproca intenzione di tentare la Nordwand. La notte del 18 luglio 1936 attaccano separatamente la parete, si incontrano ai primi nevai per continuare assieme la salita. Il primo passaggio impegnativo lo incontrano nella traversata di una placca liscia strapiombante con scarsi appigli. È Andreas Hinterstoisser che con grande abilità riesce a superare l’impegnativo ostacolo. Gli altri passano assicurati alla corda tesa attraverso l’ostacolo che viene sfilata dopo il passaggio dell’ultimo. In questo modo resta preclusa la possibilità di riattraversare agevolmente l’impegnativo passaggio in caso di ritirata. I quattro che procedono in due cordate separate raggiungono il primo ed il secondo nevaio.

Col sopraggiungere dello sgelo delle prime ore pomeridiane la montagna incomincia a scaricare. Willy Angerer viene colpito da un sasso alla testa. Il compagno di cordata Edi Rainer gli presta le prime cure ma, Willy Angerer è stordito, si muove lentamente e necessita di assistenza continua.

I quattro si riuniscono per il loro primo bivacco, a questo punto sono già oltre la metà della parete. Il giorno successivo riprendono a salire il secondo nevaio. Andreas Hinterstoisser è sempre davanti, ma la loro progressione è lenta a causa di Willy Angerer in serie difficoltà.

Nel secondo giorno di arrampicata riescono a superare solo 200 metri di dislivello. È evidente che così lenti difficilmente riusciranno a raggiungere la cima. Devono bivaccare nuovamente.

Al terzo giorno Willy Angerer appare sfinito, non in grado di procedere. Le alternative che si presentano per uscirne sono: lasciare Edi Rainer e Willy Angerer in una pozione sicura mentre Andreas Hinterstoisser e Toni Kurz salgono alla cima per poi chiamare i soccorsi. Oppure ridiscendere la parete fino all’attacco. I quattro optano per questa soluzione. Nel corso della giornata riescono a scendere di soli 300 metri: per raggiungere la base della parete ne mancano 800. Si rende necessario affrontare un nuovo bivacco: il terzo. Il giorno successivo (21 luglio) scendono il primo nevaio, raggiungono la placca da superare in traversata, dove oltre la discesa è più agevole e sicura. Il tempo è brutto la montagna riversa nevischio sugli alpinisti, la placca è coperta da vetrato. I tentativi di attraversarla risultano inutili. La montagna ha intrappolato gli alpinisti, non resta altra alternativa che scendere in verticale a corda doppia. Ma questo comporta passare in un colatoio dove convergono tutte le scariche di sassi e ghiaccio che cadono dall’alto. Nel frattempo Albert von Allmen, guida alpina e cantoniere del trenino della Jungfrau, sale ad un’apertura della galleria della ferrovia che si affaccia sulla parete dell’Eiger. Da qui chiama alla voce gli alpinisti che stanno scendendo e ne ottiene una rassicurante risposta. Dopo poco più di un’ora Albert von Allmen sente un urlo disperato di aiuto. È Toni Kurz appeso ad una corda nel vuoto.

I suoi compagni sono tutti morti travolti da una valanga di neve e ghiaccio, lui è l’unico superstite. Albert von Allmen chiama immediatamente soccorso col telefono di servizio della galleria ferroviaria. Arrivano alcune guide che tentano inutilmente di raggiungere Toni Kurz rimontando una fessura che, a causa del continuo nevischio, si è riempita di ghiaccio diventando impraticabile. L’operazione di recupero viene ripresa il mattino successivo da parte di quattro guide svizzere: Toni Kurz è ancora vivo e lucido. Le guide, con una risalita impegnativa, riesco ad avvicinarsi a Toni Kurz e tentano inutilmente di lanciargli una corda. Una guida suggerisce a Toni Kurz di recuperare la corda che lo unisce ancora ad Willy Angerer, sfilarne i trefoli in modo da ricavare un lungo cordino da calare alle guide. Toni Kurz con la piccozza recide la corda che lo lega ad Willy Angerer il cui corpo, non più trattenuto, precipita fino alla base della parete.

Sostenendo sforzi inauditi Toni Kurz, che fra l’altro ha una mano congelata, riesce a calare il cordino alle guide e a recuperare materiale tecnico, generi di conforto e una corda di calata. Con questa Toni Kurz inizia a scendere lentamente. A pochi metri dai suoi soccorritori, quando ormai può ritenersi in salvo, la corda si blocca di colpo: un nodo che unisce le corde non passa dal moschettone di calata. Toni Kurz si agita disperatamente, tenta in ogni modo di svincolarsi, impreca, poi reclina il capo in avanti: muore di sfinimento.

 

1938 - 23 giugno. I vicentini Bortolo Sandri e Mario Menti furono i primi a italiani a tentare di salire la parete Nord dell’Eiger il 23 giugno del 1938.

Vedi il profilo dei due rocciatori Mario Menti e Bortolo Sandri - MS1

 

 

 

1938 fu l’anno del successo, che arrise ad gruppo austro-tedesco, diviso in due cordate, che però agirono poi in unione fino alla vetta. Da un lato abbiamo gli austriaci Fritz Kasparek e Ludwig Harrer, uomini ancora della vecchia scuola, infatti, dotati di attrezzatura un po’ sommaria e rudimentale: Harrer era fornito solamente di scarponi chiodati, mentre Kasparek poteva disporre di ramponi a dieci punte.

Ludwig Harrer ebbe una vita avventurosa e straordinaria, che lo portò in seguito a vagare per anni nelle valli del Tibet e poi a scoprire tra le foreste della Nuova Guinea alcune tribù di aborigeni ancora sconosciute.

La cordata dei tedeschi era sicuramente più forte e preparata sia sul piano tecnico che su quello psicologico. Poteva contare su un uomo come Anderl Heckmair, dotato di una tenacia, di una determinazione e di una resistenza fisica e morale quasi leggendarie.

Anderl Heckmair ebbe un’ infanzia durissima, infatti crebbe in orfanotrofio e mai ebbe vita facile.

Forse proprio per questo trovò nell’alpinismo una compensazione alle durezze della sua esistenza.

Pochi alpinisti, comunque, seppero dare dimostrazioni di tenacia e di resistenza come lui seppe fare sia sulla Nord dell’Eiger che sulla parete Nord delle Grandes Jorasses (Sperone Walker), superata in condizioni decisamente invernali, con assoluta noncuranza del cattivo tempo scatenato durante tutta la loro permanenza in parete.

Non per nulla durante la prima salita all’Eiger, fu proprio Heckmair ad assumere il comando del gruppo e lo conservò fino in vetta, dimostrando più volte di possedere doti fisiche e psichiche assolutamente fuori del normale.

Lo stesso Ludwig Harrer ebbe a dire: «…guardai giù lungo la nostra interminabile fila di gradini e vidi la Nuova Era che sopraggiungeva a velocità sbalorditiva. Due uomini “correvano”, non scalavano lungo il nevaio verso di noi. Era sorprendente pensare che, attaccando quel mattino, avevano potuto fare già tutto quel cammino; erano di certo i migliori canditati all’Eiger. Si trattava di Anderl Heckmair e Ludwig Vorg attrezzati con ramponi a dodici punte: improvvisamente mi sentii vecchio e sorpassato…».

Eppure, durante le successive ripetizioni, vi è anche chi sulla Nord dell’Eiger si è divertito.

Probabilmente dipende molto dallo spirito con cui si affronta la parete e dalle condizioni in cui essa viene trovata.

Tecnicamente i passaggi di roccia non sono mai estremi (se trovati in buone condizioni), ma bisogna tenere conto che quasi sempre la roccia è ghiacciata o bagnata. Ma ciò che fa della Nord dell’Eiger una salita durissima, non è tanto la difficoltà tecnica in sé, ma l’impegno fisico a cui si è sottoposti: il tracciato, che cerca i punti più deboli della parete e quelli posti al sicuro dalle scariche di sassi e dalle valanghe, compie numerosissime traversate orizzontali, tanto che la via si sviluppa per circa 2500 metri!.

La progressione deve essere sempre rapidissima e sovente bisogna letteralmente correre senza alcuna possibilità di assicurazione per lunghi tratti, per sottrarsi in fretta al pericolo delle scariche.

Il problema della tensione nervosa e dell’angoscia deriva dal timore del cattivo tempo, è determinante e richiede all’alpinista un provato controllo della propria emotività, oppure un fatalismo che raggiunge l’incoscienza.

La Nord dell’Eiger e la vittoria di Cassin sulle Jorasses, sono i due ultimi episodi che chiudono questo periodo prima della Seconda Guerra Mondiale.

 

1938 - 24 agosto. La cordata tedesca composta da Anderl Heckmair e Ludwig Vorg e la cordata austriaca composta da Heinrich Harrer e Fritz Kasparek tentarono la parete Nord dell’Eiger separatamente. Sorpresi dalla bufera all’altezza del ghiacciaio pensile denominato “il ragno”, formano un’unica cordata (dopo essersi ignorati all’inizio del tentativo!) guidata da Heckmair e alle ore 15 dopo un bivacco sulle “fessure terminali” sbucano in vetta.

 

1953 – Agosto. Il tedesco di Dresda, Karl-Keinz Gonda e lo svizzero Uly Wyss, erano giunti a pochi metri dalla vetta della Nord dell’Eiger quando, forse per una slavina o un piede messo in fallo, scivolarono sul pendio ghiacciato e precipitarono fino alla base della Nordwand.

 

1957Claudio Corti e Stefano Longhi, due alpinisti di Lecco da tempo pensavano alla Nordwand (Eiger parete Nord), che si era guadagnata nel frattempo la triste fama di «parete assassina».

La loro fu una scalata perseguitata dalla sfortuna: furono raggiunti da due tedeschi, Gunther Nothdurft e Franz Mayer, di Rottweil che restarono senza viveri e chiesero di unirsi in cordata ai due italiani.

Assaliti dal maltempo, i quattro, guidati da Claudio Corti, salirono molto lenti. Dopo sei durissimi bivacchi, Stefano Longhi, sofferente di congelamenti alle mani, precipitò nel vuoto e ogni sforzo di Corti per recuperarlo risultò vano. A malincuore Corti decise di proseguire verso la vetta, ormai non lontana, insieme ai due tedeschi per poi scendere e allertare i soccorsi. Mentre conduceva la cordata sulle ultime difficoltà l’alpinista lecchese viene gravemente ferito da un sasso e impossibilitato a proseguire.

I due tedeschi gli lasciano il loro tendino e proseguirono verso la vetta. Ma nessuno li avrebbe mai più visti tornare.

Nei giorni seguenti Stefano Longhi morì di sfinimento; Claudio Corti, ormai delirante dopo otto notti in parete, venne tratto in salvo da uno spontaneo quanto straordinario spiegamento di soccorsi. Mentre era ancora sotto choc all’ospedale di Interlaken, venne sottoposto a diversi interrogatori. A infierire su di lui furono soprattutto i giornalisti tedeschi e il ticinese Bruno Tonella; perfino Riccardo Cassin e Carlo Mauri non gli risparmiarono critiche e accuse. Ma più di tutti fu Heinrich Harrer a organizzare l’accusa. Heinrich Harrer stava dando alle stampe il suo libro “Il ragno bianco”, nel quale narrava i drammi e le imprese consumati sulla Nordwand; accusò Corti di aver ostacolato i due tedeschi e addirittura di averli fatti precipitare per «impossessarsi» (sic!) del loro tendino da bivacco.

Queste insinuazioni trovano largo spazio nel suo libro pubblicato nel 1958 e subito diventato un best seller in tutto il mondo.

Nel 1961, tuttavia, i corpi dei due tedeschi vengono alla luce sulla via normale di discesa della montagna, prova inconfutabile che Corti aveva detto la verità.

 

1958Kurt Diemberger. Parete Nord dell’Eiger.

 

1959 – agosto. Giuseppe (Det) Alippi con Romano Merendi, un alpinista di Milano che gestiva il Rifugio SEM (Società Escursionisti Milanesi) in Grigna, si recano a Grindelwad per tentare la Nord dell’Eiger, ma la parete era piena di neve e il tempo era brutto, così tornarono a casa.

 

1960 - Giuseppe (Det) Alippi torna una seconda volta a Grindelwad per tentare la Nord dell’Eiger con Guido Marchetto ma quando arrivarono sotto la Nord, Marchetto ebbe un ripensamento, come preso da una forte soggezione e a malincuore disse che non se la sentiva di attaccare quella parete. Così tornarono a casa un’altra volta.

 

1961Pierlorenzo Acquistapace (Canèla) e Giuseppe Lanfranconi in agosto vanno a tentare la Nord dell’Eiger.

All’origine dovevano essere in tre: Giuseppe Alippi (Det), Pierlorenzo Acquistapace (Canèla) e Giuseppe Lanfranconi. L’idea della Nord dell’Eiger era nata sui bivacchi della loro prima invernale della via dei Francesi (la via Couzy) alla Nord della Cima Ovest di Lavaredo.

Racconta quello sfortunato tentativo Giuseppe Lanfranconi:

Ma, Giuseppe Alippi (Det) che aveva una piccola azienda agricola non poteva venire perché doveva fare il fieno su ai Resinelli. Allora ci siamo messi d’accordo io e Pierlorenzo Acquistapace (Canèla). Lui andava avanti con la sua Lodola; siccome era di leva, non era sicuro di riuscire a passare la frontiera italiana. Se entro la sera non mi avesse chiamato o non fosse ritornato, sarei partito anch’io e ci saremmo incontrati subito dopo Chiasso, a Monteceneri. Io aspettai fino al pomeriggio, nessuna chiamata e allora partii con il mio Galletto. Ci incontrammo a Monteceneri e con le due moto andammo a Grindelwald.

Alla stazione del trenino giù in basso ci dissero che non c’erano più treni fino al giorno dopo. Allora con le moto abbiamo risalito la strada sterrata che portava ad Alpiglen, siamo andati su fin dove le moto ci hanno portato e lì abbiamo messo la nostra tendina.

Il giorno dopo abbiamo attaccato: il tempo era buono, davanti a noi c'era una cordata austriaca. Il Canèla era davanti; io ero secondo. All’Hinterstoisser siamo passati; c’era un cordino un po’ malandato ma ci è stato di aiuto. Al Nido di Rondine ci siamo fermati per bivaccare. Eravamo su di giri, il Canèla fumava ed era contento.

Un po’ più tardi sono arrivati due inglesi, erano Don Whillans e Christian Bonington. Erano sotto di noi; dove stavamo noi non c’era posto. Ci capivamo a gesti e con qualche parola francese. Di notte ha cominciato a piovere e a scaricare acqua e sassi. Il tempo era cambiato e in breve tempo eravamo bagnati fradici. La mattina il Canèla mi dice: «Andiamo giù prima che sia troppo tardi». Abbiamo sistemato gli zaini: gli inglesi dicevano: «No, no!» ed era chiaro che loro aspettavano lì. Gli abbiamo lasciato delle scatolette di carne e di frutta sciroppata. Poi abbiamo buttato giù le doppie. Ma nello sfilare la corda per fare una seconda calata, la corda si era bloccata. Abbiamo gridato su e uno degli inglesi è sceso a liberarla.

Veniva giù di tutto, l'Hinterstoisser era tutta una cascata, ma ci spaventavano i sassi. Bisognava guardare su e partire, guardare su e partire.

In poche ore eravamo giù ad Alpiglen. Siamo andati all’albergo ad asciugarci. Non avevamo più soldi se non per la benzina. Lì all’albergo c’era un gran movimento di giornalisti e fotografi.

Siamo venuti a sapere che i due inglesi erano appena tornati dal Pilone Centrale del Freney e l'avevano scalato compiendo la prima ascensione. Adesso erano lì per l'Eiger. Anche gli inglesi non avevano ancora scalato la Nord. C'era Guido Tonella, il giornalista che scriveva per il Corriere della Sera. Correva la voce che noi italiani non eravamo fatti per l'Eiger, dato che anche stavolta ci eravamo ritirati. Ricordo che il Canèla ebbe una mezza discussione con il Tonella.

La sera arrivano giù anche gli inglesi. «Allora non sono solo gli italiani ad avere paura!» dice il Canèla. Tonella lo venne a cercare perché voleva fargli un’intervista. «Bene, allora la facciamo se ci dai cento franchi! » E così riuscimmo a star lì ancora un po’. Poi il tempo non si aggiustò e, con le nostre moto, tornammo a casa. Il Canèla aveva finito le sigarette e quando siamo arrivati su al Sustenpass, c'era un distributore automatico, ma ci volevano monete svizzere. Noi non ne avevamo. Il Canèla tentò di far funzionare la macchinetta con monete italiane, diede qualche scossone, ma non c'era niente da fare. Niente sigarette. Mentre era lì che smoccolava e imprecava, una macchina si fermò. Chiesero che problema c'era e lui spiegò che aveva bisogno di sigarette. Loro furono gentili e gli diedero dei franchi per prendersi quel benedetto pacchetto!.

 

1961 – agosto. Gli inglesi Don Whillans e Christian Bonington tentano la Parete Nord dell’Eiger, ma come quasi sempre il brutto tempo li respinse.

 

1962 - agosto. Armando Aste, Pierlorenzo Acquistapace, Gildo Airoldi, Andrea Mellano, Romano Perego, Franco Solina salgono la terribile Parete Nord dell’Eiger e compiono la prima salita italiana.

 

1962Giuseppe (Det) Alippi torna per la terza volta a Grindelwad per tentare la Nord dell’Eiger con Nando Nusdeo. Il tempo pareva stabile, così si portarono alla base della parete e diedero inizio alla loro scalata.

Erano le tre del pomeriggio di Mercoledì 15 Agosto. Salirono veloci. Alle cinque erano sotto la Fessura Difficile, la superarono pensando di raggiungere il Nido di Rondine che era un posto buono per il bivacco. Salirono ancora ma quando mancava poco all'Hinterstoisser il tempo si guastò. Un fronte di nuvole cariche di pioggia si avvicinava minaccioso alla parete. I due scalatori ebbero un attimo di ripensamento: preferirono non rischiare di traversare l'Hinterstoisser sotto il temporale, così decisero di scendere per bivaccare alla grotta del Buco Bagnato.

 

Io ero dietro e il Nandino era sotto di me una trentina di metri; erano forse le sei e mezzo, sette quando, improvvisamente, vidi due che scendevano uno sopra e uno sotto, slegati; in libera sopra di me alla mia destra. Mi pareva strano vedere due, lì, scendere slegati. Un attimo dopo sentii come un sibilo e uno dei due, quello più in basso, lo vidi saltar via: pareva come quelli che si vedono nei film western che gli sparano e cadono all’indietro giù da una roccia. Fece un volo, finì sotto di noi, rimbalzò su una cengia, tentò di fermarsi, ma continuò a cadere, finché si fermò sul ciglio di un gradone!. Quasi andava di sotto e sarebbe precipitato fino ai piedi della parete. Si muoveva, come scosso da tremiti. Io gli gridai di non muoversi; ma mi resi conto subito dopo che lui non capiva.

 

Il Nandino continua il acconto:

 

L’inglese aveva fatto un primo volo e aveva preso una gran botta.

Ma è continuato a scivolare finché si è arrestato su un pendio sporco di neve. Sussultava, tremava e si lamentava. Il Det è scattato via veloce a raggiungerlo mentre io gli facevo sicurezza. È riuscito a bloccarlo perché altrimenti quello andava di sotto, fino in fondo. Mi calai anch'io. Capimmo che non era italiano. Imprecava e farfugliava. Era ferito, aveva una gamba tutta rigirata e perdeva molto sangue dalla testa. Subito dopo arrivò giù anche il suo compagno che era fortemente sotto shock. Stavamo su questa stretta cengia senza poterci intendere. Erano inglesi. Cercammo di prestare al ferito le prime cure. Gli abbiamo dato da bere e abbiamo tamponato la ferita alla testa. Intanto il temporale ci era addosso.

 

In pochi attimi, per il Det e il Nandino, lo scenario si era capovolto. C'era un alpinista gravemente ferito, il suo compagno che era stranito e da solo poteva fare ben poco, c'erano oltre quattrocento metri di salto sotto di loro e il temporale minacciava in ogni momento di strapparli dalla parete.

La Nord dell'Eiger poteva attendere, la vita di un uomo ferito, in piena parete, non lasciava altra scelta! Ciò che contava in quel momento era soccorrere quell'alpinista. In piena tempesta, nel turbinare dei pensieri, il Det ebbe un flash di lucidità: si ricordò che lì ci doveva essere il Buco della Galleria. Lui era già stato ai piedi della parete e sapeva che il Buco della Galleria non doveva essere lontano. Racconta il Det:

 

Sapevo che c'era la finestra. Sono salito per andare a cercarla; l'inglese è rimasto giù con il ferito. Andavo un po’ di qua un po’ di là, perché dal basso la finestra non puoi vederla. Il Nandino mi faceva sicurezza. Io mi arrampicavo e mi spostavo un po’ a destra, un po’ a sinistra. Per la prima lunghezza di corda non ho trovato niente, mentre nel secondo tiro ho visto una placca verticale sopra una cengia. Mi sono detto che lì poteva esserci la finestra e fu una fortuna perché la finestra c'era davvero. lo ero sotto di quindici metri: sono andato su, ho rotto il vetro e l'ho aperta. Noi avevamo corde da quaranta metri, le abbiamo giuntate e ho fissato un' estremità lì alla finestra. Così ci siamo calati giù fino al ferito. Il temporale infuriava, eravamo fradici fino all'osso. Usammo allora le altre due corde, quelle degli inglesi. Con una io che stavo davanti assicuravo il Nandino e l’inglese; all’altra era legato il ferito e a mano a mano che loro lo sollevavano, io lo fermavo e lo bloccavo. E così risalimmo lungo la corda fissa, che era fradicia d'acqua. Ricordo che risalendo stringevo la corda, la strizzavo e l’acqua mi entrava lungo il polso e scorreva giù, giù fino alle caviglie!

Con l’inglese non c’era verso di intendersi e allora andò bene che il Nandino rimanesse di sotto e io di sopra, così potevamo intenderci sulle manovre. Il ferito si lamentava molto, quello sì lo capivamo.

 

Dopo oltre tre ore di sforzi terribili il ferito fu issato fin dentro il Buco della Galleria. Di colpo i quattro passavano in un altro mondo, buio, ovattato, misterioso. Fuori sull' abisso ruggiva l'uragano, là dentro erano al sicuro, e il rumore del vento non era che un fremito, un ronfare sordo.

 

Mi resi conto che era tutto cambiato; il bivacco interrotto, il volo dell'inglese, il nostro soccorso, e ora la galleria dove avremmo magari dovuto aspettare il treno del giorno dopo. C'era un uomo gravemente ferito, dargli tutte le possibilità di salvarsi fu una decisione che non richiese tra noi alcuna discussione, era quello che stavamo facendo.

 

Aver portato su per settanta metri un uomo gravemente ferito era stato una brillante azione di soccorso; che fare ancora?

Tornar fuori sulla parete? Assurdo, con la tempesta che infuriava. Aspettare l'indomani nel tunnel? D'accordo, non c'era altro da fare. Ma lì vicino alle rotaie del treno il ferito era scosso da brividi, da sussulti, invano incoraggiato e sostenuto dal compagno. Che fare? li Det guardò il Nandino.

 

Gli dissi che forse avevamo tribolato per niente perché l'inglese non sarebbe sopravvissuto fino al mattino. Faceva molto freddo. Sapevo che più avanti c'era una stazione, non sapevo a quale distanza e in quale direzione, ma lì c'era la possibilità di un ricovero e lì il treno si sarebbe fermato, la mattina dopo. Decisi di andare a cercarla. Dissi al Nandino che se non avessi trovato la stazione ci saremmo trovati al mattino al passaggio del primo treno.

Lì dove stavamo il trenino non si sarebbe fermato. Dopo un po' che stavamo dentro il tunnel, l'inglese cominciò a riprendersi mentre il ferito continuava a lamentarsi.

Decisi di andare avanti a cercare la stazione di Eigerwand, perché là il trenino si sarebbe fermato.

Allora non avevamo le frontali, a dire il vero noi non avevamo nemmeno la pila; l'inglese l'aveva ma non potevo chiedergli di prestarmela. Serviva a loro. Così mi avviai lungo il binario in salita nel buio più totale. Sentivo la rotaia con un piede, la saggiavo e avanzavo passo dopo passo. Dopo meno di un' ora vidi delle luci e arrivai alla stazione. Ebbi un attimo di paura, pensai che se c'era qualcuno mi avrebbero preso per un ladro! Aprii la porta che dava sul binario. C'era una stanza riscaldata, un tavolo, delle sedie, un telefono. C'erano vari numeri che provai a chiamare ma nessuno rispondeva. Mi pareva di essere in una situazione sempre più irreale!

Tornai subito indietro ad avvisare il Nandino e gli altri, giù fino al Buco della Galleria.

 

Nandino riprende:

 

Io e il Det abbiamo costruito una specie di barella con delle assi che abbiamo trovato e aiutandoci a turno abbiamo portato il ferito fino alla stazione. Nel tunnel tirava un'aria gelida, come un risucchio. Alla stazione c'era un fornello a gas, abbiamo fatto del tè caldo, abbiamo cambiato il ferito e l'abbiamo asciugato. Così fino all'alba; lui era malconcio, aveva una gamba spezzata e una ferita alla testa. Ma pareva essersi ripreso. Al mattino arrivò il primo treno e sul treno c'era Luis Trenker, il regista, con altri che lo aiutavano e che stavano girando un film. Scesero a vedere cosa era successo. Il treno si fermò una buona mezz’ora, c'erano molti curiosi che volevano vedere. Il treno ripartì per la Jungfrau e poi tornò, ci caricò tutti e quattro e così scendemmo alla Kleine Scheidegg. I due inglesi proseguirono per Grindelwald perché quello ferito doveva andare in ospedale. Ci ringraziarono.

Noi ci fermammo alla Kleine Scheidegg. Eravamo stanchi morti e ancora bagnati. Il Det fu proprio un fenomeno. Io gli diedi manforte ma fu davvero incredibile come seppe risolvere la situazione.

 

Chi erano i due inglesi reduci da quella drammatica odissea?

Quello che si era salvato grazie al provvidenziale soccorso di Det Alippi e di Nando Nusdeo si chiamava Andy Wightman. L'altro, il compagno, era Dougal Haston, uno scalatore scozzese, allora ventiduenne, lo stesso che avrebbe compiuto in seguito leggendarie imprese alpinistiche divenute famose per gli elevati margini di rischio e per lo spirito avventuroso e insofferente a ogni convenzione, tipico del personaggio.

Al suo secondo tentativo alla Nordwand, Haston aveva già ripetuto alcune fra le più classiche scalate dolomitiche; avrebbe scalato la Nordwand nel 1963 ma il vero colpo grosso gli sarebbe riuscito nel 1966 quando, invitato da John Harlin a tentare la direttissima invernale, avrebbe perso l'amico ma avrebbe vinto la Nord assieme ai tedeschi Lehne, Hupfauer, Votteler e Strobel. Il loro assedio alla parete immobilizzata dal gelo sarebbe durato dal 23 febbraio al 25 marzo 1966 e avrebbe avuto larga eco internazionale. La morte dell'americano John Harlin precipitato per la rottura di una corda fissa si sarebbe aggiunta alla lunga schiera di alpinisti vittime della Nordwand.

Haston fece dell' alpinismo il suo mestiere, un alpinismo estremo, inteso come fine ultimo e modello di vita. Nel 1970 con la spedizione inglese all' Annapurna, guidata da Chris Bonington, fu nella cordata di punta che tracciò una vertiginosa via nuova sulla parete Sud; sempre con Bonington portò a termine la prima scalata del Changabang nel Garhwal dell'India. Nel 1975 con Scott vinse la formidabile parete Sud-Ovest dell'Everest e nel 1976 con lo stesso compagno tracciò una via parzialmente nuova sulla parete Sud del McKinley. Considerato fra i migliori scalatori su ghiaccio del suo tempo, Haston perse la vita sotto una valanga nel gennaio del 1977 mentre faceva scialpinismo nelle Alpi svizzere.

Haston scrisse d'alpinismo in uno stile asciutto, essenziale, non privo di ironia e di uno spiccato senso di superiorità. Nella sua autobiografia In High Places pubblicata in Italia da Dall'Oglio con il titolo Verso l’alto, Haston ricorda l'episodio dell'incidente al compagno Andy e il soccorso generosamente prestato dai due scalatori italiani Giuseppe Alippi e Nando Nusdeo.

Ma lo ricorda assegnando più a sé che ai due italiani il merito dell'aver salvato la vita al compagno. Il suo resoconto infatti relega i due italiani a mere comparse da lui quasi dirette nell'opera di salvataggio. Tace sul fatto che fu il Det e non lui a partire alla ricerca del Buco della Galleria e a fissare le corde per issare il ferito fino alla provvidenziale finestra. Ancora, se a sollevare da sotto il ferito lungo le corde era certamente Haston, con lui c'era a dare manforte Nando Nusdeo. E fu il Det a infilarsi nella buia galleria per raggiungere la stazione di Eigerwand e trovare così un posto dove prestare al ferito maggior cura e assistenza e soprattutto poterlo caricare sul treno il giorno seguente.

Mentre raccontava questo episodio, Haston forse non pensava di alterare quanto era accaduto. Scriveva ciò che gli piaceva ricordare, cioè la sua personale avventura. A lui il ruolo dei due italiani non era parso determinante né meritevole di un cenno di gratitudine. Addirittura confonde il nome del Det, Giuseppe Alippi, con quello di un altro grande scalatore lecchese, Luigi Alippi (Gigi). Il suo esasperato individualismo e una certa mancanza di onestà intellettuale gli impedirono di riportare correttamente quanto era accaduto in parete.

Ben diversamente si comportò Andy Wightman, lo sfortunato protagonista dell'incidente che, reperiti a fatica gli indirizzi di Alippi e Nusdeo, scrisse loro per alcuni anni auguri di caloroso, riconoscente ringraziamento. La fine dell' avventura è ricordata dal Det:

 

L'incontro con il Canèla, Pierlorenzo Acquistapace al loro ritorno dalla vittoriosa scalata, non fu facile. Era giovane e per lui l'alpinismo era la prima ragione di vita. Ci si parlò con un certo distacco per un po’ di tempo, poi tornammo amici.

Adesso posso dire che aver salito l'Eiger senza di me era dispiaciuto più a lui che a me.

Io e il Nandino lasciammo la Kleine Scheidegg. Avevamo i soldi per il ritorno, ma allora era facile trovare passaggi e decidemmo di tornare in autostop per risparmiare. La prima auto a fermarsi caricò il Nandino, così lo salutai. Anch’io trovai presto un passaggio. Mi trovavo sui tornanti del Sustenpass ad aspettare un altro passaggio quando arrivò una Fiat Seicento verde: erano il Pierlorenzo e il suo futuro cognato che era venuto a prenderlo a Grindelwald. Mi fecero salire a bordo. La macchinina era stracarica e sulle rampe del passo faceva una gran fatica. Loro si dirigevano verso Livigno per far visita a un amico del Mario, il cognato del Canèla.

Così passammo Pontresina, St. Moritz e poi sulla salita del passo Bernina la Seicento riprese a sbuffare e ad arrancare. Soffriva proprio, così quando arrivammo all' altezza dell’ospizio mi risolsi a chiedere di scendere per alleggerire il carico. Io e il Canèla ci salutammo.

Trovai poi il passaggio di una moto, più avanti di un camion e poi di un altro e discesi così la Valtellina fino a casa.

* Il soccorso sull'Eiger venne valutato come «miglior soccorso dell' anno» dalla giuria che, nel '62, assegnò al Det Alippi e a Nando Nusdeo il premio di solidarietà alpina, l'Ordine del Cardo.

 

1962 - 6 settembre. Armando Aste e Franco Solina al ritorno dall'Eiger, sfruttano lo stato di grazia in cui si trovano e in Brenta tracciano una via nuova; la via Città di Brescia, sulla parete Sud-Ovest della Cima Tosa. – Massiccio della TosaGruppo di BrentaDolomiti di Brenta.

 

1963 - Andrea Mellano e Romano Perego salgono lo Sperone Walker sulla Nord delle Grandes Jorasses. - A ventinove anni Romano Perego e Andrea Mellano sono i primi due alpinisti italiani ed europei dopo Gaston Rébuffat (con l’austriaco Leo Schlommer ad aver salito le Tre Grandi Nord delle Alpi. Eiger, Cervino e la Punta Walker delle Grandes Jorasses. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1975 - Reinhold Messner con Peter Habeler, supera in sole 10 ore la terribile parete Nord dell’Eiger.

 

19771978Ivan Ghirardini in un solo inverno è riuscito a portare a termine l'impresa che può essere considerata come la più bella della sua carriera, inanellando una dopo l'altra, per la prima volta nella storia dell'alpinismo, le ascensioni delle tre grandi pareti Nord delle Alpi. La prima a essere percorsa è stata la Via Schmid sulla parete Nord del Cervino durante il mese di dicembre, seguita dallo Sperone Croz sulla Nord delle Grandes Jorasses dal 7 al 9 gennaio; infine, ultima della serie, ha salito la via classica del 1938 sulla parete Nord dell'Eiger. Per potere giudicare in maniera appropriata la sua avventura invernale, occorre considerare le profonde implicazioni psicologiche connesse a un'impresa di questo genere, e rammentare le pessime condizioni meteorologiche e dell'innevamento sulle Alpi durante quell'inverno. - VEDI: TABELLA - “Velocità e Concatenamenti Sportivi”.

 

1985 - 25 luglio. Christophe Profit riapre la corsa sulle tre grandi Nord e realizza il suo progetto da fantascienza di concatenarle in giornata: - 4 ore per il Cervino, 6 ore e 45 minuti per Eiger, poco più di 4 ore per il “Linceul delle Grandes Jorasses. Per gli spostamenti usa l’elicottero.

Fenomenale l’impresa della guida ventiquattrenne Christophe Profit di Chamonix.

La parete Nord del Cervino in solitaria partendo a mezzanotte ed impiegando quattro ore. Accanto alla Hörnlihütte attende un elicottero.

Il «velocista» vola verso la Kleine Scheidegg, per affrontare la parete Nord dell’Eiger.

In appena 8 ore Christophe Profit supera con condizioni avverse l’Eigerwand e poi prosegue verso la zona del Monte Bianco.

Inizio della scalata delle Grandes Jorasses alle 19,30.

Il «velocista» non dorme da quattordici ore. Mezz’ora prima di mezzanotte avviene l’uscita sulla Punta Walker. Questo è il resoconto: tre lunghe vie su pareti Nord in 24 ore. Impresa che la rivista francese Vertical giudicò «Il crimine del secolo». - VEDI: TABELLA - “Velocità e Concatenamenti Sportivi”.

 

198712/13 marzo. Inizia il duello fra Christophe Profit e Eric Escoffier che si inseguono sulle stesse pareti in pieno inverno, in una lotta per raggiungere l'amata trilogia delle Tre pareti Nord delle Alpi, seguendo il rituale di una nuova sfida. La spunta Christophe Profit, che in 42 ore liquida lo Sperone Croz alle Grandes Jorasses, l’Eiger e il Cervino. Eric Escoffier, leggermente in ritardo, non riesce a completare il trittico. E’ importante dire che Eric Escoffier, che non ha mai scalato l'Eiger, si perde nel buio per trovare il famoso passaggio "Hinterstoisser" deve andare fino a Kleine Scheidegg e ri-iniziare la salita il giorno dopo, mentre, Christophe Profit è già in cima allo Sperone Croz alle Grandes Jorasses dove con il suo aliante dal peso di soli 2,4 chili gli permette di volare a Courmayeur.

 

1993 – La britannica Alison Hargreaves sale da sola in 2 ore e 30 minuti il “Linceulsulla Nord della Punta Walker alle Grandes Jorasses, la parete Nord del Cervino in 5 ore e 30 minuti, la parete Nord-Est dell’Eiger, la Nord-Est al Pizzo Badile via Cassin in 2 ore e 30 minuti, la via Allain al Petit Dru la via Comici alla Cima Grande di Lavaredo, nella stessa estate impiegando in totale 23 ore e 30 minuti. - VEDI: TABELLA - “Velocità e Concatenamenti Sportivi”.